sabato, Aprile 20, 2024
Il Parco Paranoico

Kurt Cobain, la fine del nostro mondo ed una manciata di libertà

Personaggi come Jimi Hendrix, Jim Morrison, John Lennon hanno rappresentato sempre, per me, qualcosa di irraggiungibile e di mitologico; persino la loro tragica fine – la fine dei “loro resti mortali”, per citare uno dei versi pinkfloydiani più intensi ed allo stesso tempo intrisi di malinconia – era qualcosa di indefinito ed astratto; qualcosa che apparteneva ad una dimensione remota ed affascinante, una sorta di Valhalla della musica, in cui questi eroi potessero continuare a vivere, a suonare e trasmetterci energia. Probabilmente tutto ciò dipende dal fatto che io – vuoi perché non ancora esistevo, vuoi perché ero solamente un bambino – non potevo essere partecipe di quel mondo lontano e così, crescendo, l’ho idealizzato e personalizzato.

Il mondo è proprio così: quanto ti abitui ad una sua versione, scopri che, in realtà, intanto, esso è “andato avanti”, come dicevano a Gilead e nelle terre ormai desolate che fanno da cornice ai romanzi della Torre Nera, ed è, quindi, irrimediabilmente cambiato senza che ce ne accorgessimo.

Quando la signora vestita di nero ha preso per mano altri miei idoli, come David Bowie, Lou Reed o Syd Barrett, ero io, purtroppo, ad esser cambiato; con l’età ti trasformi; con le perdite ti crei la tua corazza; con le delusioni i tuoi scudi; ma, allo stesso tempo, divieni anche più cinico, più duro con te stesso, con ciò che ti accade attorno e con gli altri. E quindi queste morti che, a differenza delle altre, ho potuto vivere e sentire nella carne e nello spirito, hanno assunto un aspetto molto più umano. Non c’era nessun Valhalla, nessuna sala di Asgard, ma solo un profondo silenzio che si faceva spazio nel mio inconscio, mentre il mondo reale e frenetico, nel quale vivevo ed a cui mi ero più o meno adeguato, pretendeva che svolgessi sempre i miei stessi piccoli ed insignificanti compiti ordinari.

L’eroismo di un mondo che non avevo mai vissuto e che forse non era mai davvero esistito aveva lasciato il posto alla consapevolezza universale della fragilità umana. Ma tra i due aspetti, quello vincente e quello perdente, c’è una data particolare e significativa – non solo per me, ma credo per tutti quelli che hanno più o meno i miei anni: il 5 Aprile del 1994.

In fondo eravamo coetanei, lui aveva giusto qualche anno in più. Non si era potuto trasformare, di conseguenza, in una creatura divinizzata dal tempo, né io avevo potuto elaborare e costruire la mia versione statica del mondo; anzi, all’epoca, c’erano tante speranze e la convinzione che le cose dovessero necessariamente cambiare in bene, finalmente, per tutta l’umanità. Gli anni Ottanta erano finiti con il crollo del muro e sembrava che quel muro abbattuto ci avesse liberati tutti.

Quel colpo di fucile, però, fu il modo più brutto per riportarci con i piedi per terra e farci riaprire gli occhi; avrebbe dovuto darci la forza di veicolare quel cambiamento che, invece, a conti fatti, abbiamo semplicemente subito, accettato, tollerato, e purtroppo, spesso, per motivi del tutto personali, futili e materialistici, avallato, nascondendoci dietro la maturità, dietro gli anni che passano, dietro la salute, dietro la scusa dei figli e della famiglia, dietro il posto fisso, dietro le rate del mutuo e persino dietro le vacanze estive.

Ci siamo adeguati, anche noi, alla nostra bella versione di mondo; ci siamo convinti di conoscere, di sapere e di poter prevedere tutto, proprio come avevano già fatto tutti quelli che c’erano passati prima di noi, proprio come i nostri stessi genitori e come quelli che credevamo di disprezzare, ma che, invece, bramavamo solamente sostituire.

Quanto dolore hai sputato
per una manciata di libertà?
Il suo coltello ti ha fatto a pezzi,
ma il suo odore è ancora così forte,
pervade questo nostro mondo:
le sue fiere del baratto, le sue pistole,
i suoi denti bianchi e perfetti, i suoi kalashnikov
e tutti questi giorni che sanno di tabacco,
codici giuridici e polvere da sparo,
perché scambi il suo amore
per un incubo pornografico a buon mercato
che serve solo a prostituirci per un’altra ennesima,
sporca ed inutile manciata di libertà.
(2m*, da “Poesie per dopo la tempesta” di Michele Sanseverino)

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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