Vi sono musiche che non intrattengono, musiche che non consolano, musiche che non diventeranno mai lo sciocco decoro delle nostre giornate. Ci sono musiche, come quella di questo disco, che, al contrario, scavano, lacerano, mettono a nudo le viscere maleodoranti e malate di una civiltà che ha smarrito il senso del limite e quello della verità. “La Bambina e i Mostri” non si limita a osservare e descrivere il baratro, ma vi si getta dentro, tracciando, con suoni sintetici, torbidi, oppressivi e darkeggianti e con ritmiche elettroniche scheletriche, il diagramma di un’epoca terminale.
Le sonorità sono minimali, ma non per sottrazione, perché ogni nota, ogni riverbero, ogni eco sono lame. Lama taglienti, oscure e implacabili. I paesaggi sonori ambient sono il riflesso di città post-industriali, divorate dal cemento e dall’indifferenza, dove il dinamismo non è che immobilità travestita e una corsa a vuoto verso l’insignificanza. L’informazione si trasforma in menzogna, i media in strumento d’ingiustizia, la tecnologia, onnipresente e invasiva, diviene la crudele divinità che consuma tutto ciò che ha ancora un’anima.
I loop elettronici sono i pensieri maniacali di una società che ripete i suoi stessi errori, mentre lo spoke-word alienante e disperato, restituisce un cantautorato estremo, figlio dell’era della post-informazione; le parole, più che cantate, sono vomitate, sospirate, recitate come formule di un rito misterico che tenta, invano, di esorcizzare un male endemico. Ed è proprio in queste parole che si intravede l’ultimo, unico appiglio: frammenti di lucidità emergono dal rumore di fondo, che gridano di un mondo in cui vittime e carnefici si confondono, dove l’economia globale fornisce coperture ai governi e ai regimi per perpetrare genocidi, diffondere odio, ridisegnare l’incubo delle discriminazioni, della violenza istituzionale, dell’annientamento dell’individuo.
LF non offre tregua, ti lascia addosso la sensazione di essere osservato da un occhio meccanico, di essere pedina e complice di un sistema cannibale di torturatori e torturati. Eppure, proprio in questo spaesamento risiede la sua forza: un’opera che, rinunciando a qualsiasi estetica conciliatoria, ci consegna lo specchio di ciò che siamo diventati.
Un lavoro oscuro, disturbante, ma assolutamente necessario.
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