sabato, Maggio 17, 2025
Il Parco Paranoico

Oltre le Ombre: Platone, Jung e i Cantori dell’Inconscio (S.Barrett / R.Waters / S.Wilson / T.Reznor)

Un filo sottile unisce filosofia, psicoanalisi e musica e lo fa attraverso simboli e visioni capaci di connettere il mito della caverna di Platone, l’inconscio collettivo di Jung e la fragile e luminosa poesia di Syd Barrett. Un viaggio che, ovviamente, prosegue, senza mai arrestarsi, nel mondo della poesia sonora, e ne ritroviamo l’eco nei testi tormentati dei Pink Floyd, nelle visioni crepuscolari dei Porcupine Tree e nelle confessioni industriali dei Nine Inch Nails.

Syd Barrett non si limitava a scrivere semplici canzoni, ma concepiva i suoi mondi: “The madcap laughed at the man on the border / Hey ho, huff the Talbot“. Parole che sembrano i frammenti di un sogno o scaglie di archetipi scivolati nella realtà. Jung avrebbe descritto la loro voce come “anima mundi”, ovvero lo spirito celato nelle cose e, in fondo, Barrett, più che raccontare, evocava. Le sue canzoni sono come le figure del mito platonico: ombre proiettate da qualcosa di più reale e terribile che definiamo insonscio.

Se Syd Barrett si smarrisce nel labirinto, Roger Waters ne disegna le mappe per i Pink Floyd. Nei suoi testi risuona la consapevolezza tragica di una società alienata, dove le idee platoniche sono sostituite da simulacri mediatici: “When I was a child I caught a fleeting glimpse / Out of the corner of my eye / I turned to look but it was gone / I cannot put my finger on it now”. Cosa sono questi versi se non un’epifania mancata, il richiamo platonico a un’idea di felicità perduta, che sprofonda nel buio della memoria? 

Steven Wilson e i Porcupine Tree esplorano il medesimo inconscio collettivo, aggiornandolo, però, all’era digitale, tra estranei virtuali e sogni sintetici ricorrenti: “Let’s sleep together right now / ‘Cause there’s nobody else around”. Un desiderio archetipico di fusione e di annullamento, di ritorno all’unità platonica originaria. E’ questa la tensione che Jung avrebbe riconosciuto come lotta tra l’anima e l’ombra, come avviene nel mito della caverna i protagonisti di queste narrazioni sonore si aggirano tra immagini riflesse, incapaci di distinguere il vero.

Ma è Trent Reznor, più di chiunque altro, a dare voce al caos interiore, la sua musica si fa rito catartico, il suono stesso è ombra e, contemporaneamente, luce, mentre il silenzio può essere più eloquente delle stesse parole: “I’d listen to the words he’d say / But in his voice I heard decay”. Nei Nine Inch Nails l’inconscio junghiano è l’abisso in cui immergersi, mentre la dimensione delle idee platoniche è irrimediabilmente crollata, il loro canto è il canto di chi ha visto la luce e ne è stato consumato.

Syd Barrett, Roger Waters, Steven Wilson, Trent Reznor sono viandanti del mito; essi fuggono dalla caverna e scoprono che, fuori, non c’è il sole, ma un deserto psichedelico punteggiato di echi, archetipi e frammenti di memoria. La loro stessa musica è il tentativo estremo di dare voce a ciò che resta, a quei sogni spezzati che Jung avrebbe definito “ombre della psiche” e Platone, invece, “illusioni dell’anima”.

Ma ascoltare queste canzoni è il nostro atto iniziatico, è guardare il proprio riflesso nell’oscurità e scoprire che, dietro di esso, c’è il volto di ogni uomo.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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