“There Is No Space For Us” non è solo un disco, ma è anche una storia e, come tutte le storie, esso va attraversato ed abitato, esplorato e vissuto. E’ un vero e proprio viaggio galattico e interiore, un’odissea spaziale dove le stelle rappresentano gli specchi deformanti delle nostre inquietudini e ossessioni terrestri. Sin dall’incipit i ritmi ipnotici e i sintetizzatori siderali proiettano l’ascoltatore oltre i confini dell’atmosfera, laddove il tempo implode e lo spazio si fa labirinto. Le chitarre, ora magiche e incalzanti, ora liquide e rarefatte, tracciano orbite sonore che sfuggono a ogni geometria conosciuta, disegnando mappe emotive di mondi che, forse, non esistono oppure che esistono solamente dentro di noi.
Ma non è nel cosmo esterno che gli Hawkwind celano i veri pericoli; le loro intuizioni sono sottili e crudeli: il mostro non abita tra le stelle, né si nasconde tra le pieghe del continuum spazio-temporale. Esso è annidato nel nostro animo, nella nostra incapacità a comunicare davvero, nell’antica e brutale propensione a sopraffare il prossimo. E’ una distopia che non ha bisogno di realizzarsi, perché è già qui, plasmata dalle nostre paure, dalle nostre diffidenze, dai confini che continuiamo ad erigere tra noi e gli altri, tra noi e noi stessi.
Le atmosfere synthwave, i paesaggi space-rock, le divagazioni elettroniche dal sapore sci-fi e gli orizzonti psichedelici in perpetua espansione compongono una narrazione sonora stratificata e senza tempo. Un concept-album che è, contemporaneamente, racconto di civiltà e diario intimo, memoria collettiva e confessione personale. Ogni traccia è un capitolo di questa saga astrale, ogni melodia un frammento di una lingua perduta che, ancora, ostinatamente, tenta di raccontare ciò che siamo diventati.
Eppure, in questo futuro ipotetico e desolato, c’è spazio per il ricordo, perché la band inglese non perde mai di vista la nostra fragilità, il nostro legame con chi ci ha preceduto e con chi abbiamo amato. È un disco che, mentre osserva l’umanità precipitare nella sua stessa ombra, alza gli occhi a un firmamento che è insieme rifugio e cimitero, costellato delle presenze che ci hanno lasciato e che continuano a brillare, eterne, nei vuoti cosmici e nei silenzi che avvolgono ogni viaggio. Un’opera tanto grandiosa quanto intima, che squarcia il velo dell’apparenza per mostrarci il vero nemico: noi stessi. E lo fa con una colonna sonora talmente potente e visionaria da sembrare essa stessa provenire da un’altra dimensione.
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