“Inni e Canti”, oggi, è un disco necessario, un disco intriso di memoria, di radici e di un ostile presente che tenta di cancellare, sistematicamente, il nostro passato, impedendoci, contemporaneamente, di scegliere, autonomamente, il nostro futuro.
C’è un filo sottile, infatti, che lega memoria e musica, ed è quello che questo album decide di afferrare, con forza, coraggio e determinazione, costruendo un percorso sonoro che è, prima di tutto, un atto di resistenza. Un disco che guarda dentro ciascuno di noi, scavando in quelli che sono ricordi collettivi sempre più sfocati e sbiaditi, logorati da un sistema economico, finanziario, militare e politico intransigente, ingiusto, arrogante e prepotente. Un sistema bellicoso che tenta, giorno dopo giorno, di cancellare la nostra stessa Storia e di convincerci che abbiamo sempre vissuto in questa bolla di eterno presente, preoccupati solamente da ciò che dobbiamo acquistare, consumare e poi gettare via.
Questo lavoro musicale — sospeso tra alternative-folk e cantautorato impegnato di matrice lo-fi, contaminato da innesti indie-rock moderni — è molto più di una semplice raccolta di brani: è una dichiarazione di intenti. Un richiamo a riconquistare il significato delle lotte e degli eventi passati, a sottrarre dall’oblio i simboli culturali, storici, sociali e artistici che un antico e subdolo meccanismo di potere tenta di ridurre a noiose perdite di tempo, svuotandoli di ogni valore collettivo, di ogni messaggio politico, di ogni forma di impegno civile.
L’album si fa carico di questo sguardo lungo e profondo, denunciando un presente modellato sul controllo e sulla manipolazione dei desideri, delle passioni, dei sogni e delle necessità. Un presente che marginalizza gli ultimi, che impone un’immagine di individuo perfetto, sano e soddisfatto, nascondendo il loop-prigione di giornate identiche tra loro e di routine superficiali ed individualiste che hanno smarrito qualsiasi contatto con la realtà e con il mondo esterno. Canzone dopo canzone, tra arpeggi di chitarra acustica, percussioni asciutte, cori che evocano le lotte di strada e voci, emozioni e sentimenti popolari che si fondono ai riverberi elettrici, il disco diventa un racconto alternativo, uno spazio di memoria resistente. Un’opera che mette in guardia dalle forze oscure e divisive, che, subdolamente, mutano forma, si trasformano in entità liquide e invisibili, restando, però, sempre intenzionate a sradicare, dalla nostra anima, qualsiasi ideale, qualsiasi senso di appartenenza, qualsiasi briciolo di umanità.
Eppure, in questo scenario di omologazione e di narcosi collettiva, l’album si fa anche promessa di risveglio. Propone una riflessione sonora e poetica sull’urgenza di scendere in strada, di abbracciare le eroiche generazioni passate, di scavare e difendere le nostre trincee ideali, storiche, umane ed affettive. Perché senza questi gesti collettivi, senza la custodia della memoria e la difesa dei fragili, rischiamo di diventare semplici e banali statistiche di mercato, ingranaggi di una macchina perversa che non ammette deviazioni.
Il disco non offre soluzioni facili, ma un linguaggio espressivo moderno e consapevole, capace di guardare al futuro senza tradire il passato. È un album che riconosce le proprie radici anti-fasciste, che si sporca le mani nel ricordo e che trasforma la fragilità in un atto politico.
Un lavoro necessario, oggi più che mai.
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