sabato, Maggio 17, 2025
Il Parco Paranoico

L’Umanità Perduta: dalle tavole di Dylan Dog alle macerie di Gaza

Quando la letteratura procede a strappi, può sembrare imperfetta, spezzata, caotica e disordinata. Ma è proprio in quei tagli, in quelle ferite, in quelle crepe narrative, che si annida l’umanità più autentica. Un’umanità che travalica le pagine di un fumetto, che si insinua oltre le sue vignette, per raccontare storie di persone comuni, immerse in tutte quelle sfumature che, oggi, sembriamo non voler più vedere. Viviamo in un’epoca che pretende di ridurre il mondo a due soli colori: bianco o nero, buono o cattivo, giusto o ingiusto, corretto o sbagliato. Tutto il resto viene rimosso, censurato, ignorato, cancellato.

Dylan Dog, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, quando il mondo era ancora in una fase relazionale analogica e il futuro appariva meno programmabile, è stato un rifugio esistenziale, una via di fuga dal vuoto e dalla solitudine. Un luna-park dell’orrore popolato da figure che la società – oggi come allora – considera marginali, mostruose, perverse — eppure capaci di offrire le lezioni più preziose, più vere, più genuine. Dall’altra parte, dietro i loro volti rassicuranti, puliti e sorridenti, dietro le maschere del potere, si celano, invece, i veri mostri: esseri spietati, assassini travestiti da governati, leader e finti eroi, creature morbose che si nutrono della paura, del terrore, del dolore e dello sconforto altrui.

È questo che rende le storie di Dylan Dog così straordinariamente attuali. A volte apparentemente incompiute, sospese, prive di un lieto fine, esse riescono, però, a rappresentare i frutti amari ed avvelenati di un mondo governato da un iper-liberismo feroce e da una tecnocrazia senz’anima. E continuano a svelare quella regola infame e mai scritta che giustifica il crimine dei potenti: orrore, guerra, odio.

Basta volgere lo sguardo a ciò che accade a Gaza, dove il sangue innocente scorre, senza sosta, sotto il silenzio complice di chi dovrebbe difendere la vita e la dignità umana. Quelle stesse logiche di sopraffazione e di disumanità che Dylan Dog denunciava attraverso i suoi incubi di carta, oggi si materializzano tra le macerie della Striscia, tra i corpi mutilati, tra le voci spezzate di chi non ha più nemmeno il diritto di essere raccontato.

Dylan Dog non è mai stato soltanto un fumetto horror. È stato — e continua a essere — un racconto politico ed esistenziale. Una lente sporca e scheggiata attraverso cui osservare il lato oscuro del potere, delle istituzioni, dei governi, dei leader politici e di quell’umanità che ama nascondere il proprio volto dietro maschere di perbenismo, mentre divora il prossimo. E forse, proprio in questo, sta la sua verità più profonda: nelle storie che non chiudono i cerchi, nei finali che non offrono consolazione, nella consapevolezza che il male più grande è sempre quello che si presenta sotto le mentite spoglie del bene.

Dylan Dog, nei suoi albi più memorabili, ha sempre avuto la capacità di raccontare i mostri reali dietro le maschere rassicuranti. Lo faceva mentre in sottofondo scorrevano le note di canzoni immortali: “Paint It Black”, “Space Oddity”, “Bela Lugosi’s Dead”, “Love Will Tear Us Apart”. Brani che, come le sue storie, non erano mai soltanto colonne sonore, ma parte integrante di un mondo spezzato, malinconico, attraversato da personaggi perduti in cerca di un senso. Quelle stesse canzoni, oggi, risuonano come elegie per un’umanità che sembra aver definitivamente smarrito il senso della compassione e della giustizia.

Il conflitto in corso a Gaza, come detto, è molto più di una guerra. È il simbolo di una disfatta morale globale, la dimostrazione tragica che il mondo ha imparato a convivere con l’orrore purché non tocchi direttamente le sue comodità. È l’ennesima prova che i Lupi continuano a travestirsi da Agnelli, ammantandosi di legalità, di democrazia e di sicurezza, mentre, nel frattempo, assassinano, distruggono ed annientano vite innocenti. E di fronte a questo scempio non si può più restare in silenzio, né rifugiarsi dietro a logiche di schieramento politico. Perché ora, prima ancora che come cittadini, è come esseri umani che abbiamo il dovere di urlare, di denunciare, di chiamare le cose con il loro nome. Di dire che sì — uno stato, come Israele, che si proclama democratico e che perpetra crimini contro una popolazione civile inerme sta compiendo aberrazioni che nessuna retorica potrà mai giustificare. E farlo non significa prendere una posizione di parte, ma scegliere di stare, senza esitazioni, dalla parte della vita, della giustizia, dell’umanità.

Forse è vero che il mondo di Dylan Dog era fatto di incubi e di mostri, ma il nostro, oggi, sa essere ancora più feroce e crudele, perché i suoi orrori si consumano alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, con il benestare complice di chi avrebbe il potere di fermarli. E allora, se davvero c’è ancora una possibilità di riscatto, forse comincia proprio da qui: dal coraggio di non voltarsi dall’altra parte, di spezzare il complice silenzio, e di riconoscere i Lupi per quello che sono — anche quando indossano il candido vello degli Agnelli o il vestito elegante di un Primo Ministro.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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