Un lavoro sperimentale ed avanguardista, quello della band noise-rock newyorkese, un’opera che fa dell’incisività e della forza espressiva del suono i suoi tratti distintivi più riconoscibili, riuscendo ad incarnare, alla perfezione, la palpitante urgenza e la caotica frenesia dei tempi moderni. Tempi che appartengono a una metropoli perennemente vigile ed insonne, dove l’esistenza distrae, aliena e confonde, scivolando via e lasciandoti la costante ed angosciante sensazione di aver perso qualcosa, di essere rimasto indietro, di aver trascurato — o peggio ancora, smarrito per sempre — qualcuno o qualcosa che mai più tornerà.
In questo contesto di incessante smarrimento, le elettroniche distorte di una realtà digitale, aspra e brutale, si mescolano con le percezioni analogiche di un eroico passato, ormai cristallizzato nell’eternità, un passato che sopravvive soltanto in alcune pieghe del mondo, in quei luoghi, vividi e fantastici, dove ancora possiamo intercettare e respirare la memoria autentica delle cose. New York è, senza dubbio, uno di questi portali magici. Ma per oltrepassare il velo di inutili apparenze, di patinata superficialità e di vetrine ingannevoli, occorre sintonizzarsi con la sua anima più oscura e sotterranea, quella più viscerale, più rumorosa, più claustrofobica, più cacofonica, più meditativa, più cruenta, più ipnotica e più elettrica. Un’essenza che non troveremo mai in una boutique del centro, né tra le strade affollate, negli uffici, nei grattacieli o nei negozi di souvenir e gingilli scintillanti.
“45 Pounds”, con i suoi groove acidi, tormentati e febbrili, diventa, allora, un rito sonoro, un modo per sentirsi prossimi all’essenza più divina e catartica della musica e, di conseguenza, attraversare la porta delle nostre stesse percezioni. Ritmiche parallele e oblique si aprono davanti ai nostri occhi, come sentieri sghembi tracciati nel nulla, percorribili in qualsiasi direzione: nel passato remoto, in un futuro impossibile, o nel buio interiore di ognuno di noi. Ma è lì che potremo scrutare quella luce che ancora ci appartiene e ci definisce, ma che non sappiamo più mostrare né condividere, avendo dimenticato il messaggio originario della vita, quel compito ancestrale che ci era stato affidato da Dio o da chi per lui: essere testimoni rumorosi, puri, amorevoli, combattivi e disinteressati di amore e di passione. Dare voce, dunque, a un senso prezioso, appagante e rassicurante anche nel cuore più imprevedibile, ostile, violento e feroce del caos.
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