sabato, Giugno 14, 2025
Il Parco Paranoico

U2, gli anni Ottanta e il crepuscolo dell’innocenza

Crescere significa cambiare il proprio corpo e i propri pensieri, lasciando che il tempo incida il suo passaggio su di noi come fa il vento sulle rocce. Spesso, questo processo ci spaventa, perché è qualcosa di intimo, qualcosa che accade dentro e che ci fa sentire irrimediabilmente soli, mentre il crepuscolo, senza che ce ne accorgiamo, cala silenzioso sulle nostre giornate e noi restiamo immobili davanti ai bivi, incapaci di scegliere quale strada percorrere.

L’ombra di un uomo, quella di un ragazzo, la nostra ombra che muta forma e lunghezza, incurante della pioggia che scende e che non può farle nulla.

“Quanto manca?”

Quanto manca alla fine di questo mondo che conosciamo? Quanto manca alla prossima cena, alla fine del turno di lavoro, all’ultimo giorno della nostra vita? La verità è che non controlliamo nulla. Percepiamo l’indifferenza, sentiamo il boato, vediamo il sangue, e restiamo immobili. E, infatti, non facciamo nulla. Lasciamo che le stagioni danzino, che gli alberi si spoglino e che poi si rivestano, testimoni muti di una ciclicità che ci sopravvive. Svuotati di preoccupazioni vere, di sogni autentici, di passioni profonde, di quella rabbia primitiva e di quella speranza ingenua che un tempo muovevano il mondo. Mentre tutt’intorno, gli uomini combattono per possedere ciò che non potranno mai davvero trattenere tra le mani.

Il cielo riflette i colori della guerra, si tinge di rosso e di porpora, mentre i volti si fanno pallidi, segnati dal tempo e dalla fame di senso e di direzione. Le vecchie promesse sono state infrante, i patti antichi sono stati spezzati, perché nuovi imperi potessero sorgere su fondamenta di sabbia, inseguendo una nuova illusoria età dell’oro. Ma continueremo a combatterci, ad occupare terre che non ci appartengono, a rubare, a saccheggiare e ad affamarci, mentre la neve cade e i nostri passi lasciano impronte profonde su campi bianchi di lutto.

La Terra intanto prosegue il suo moto, indifferente alle tragedie umane. Ignara delle città sorte e crollate, delle ceneri da cui la vita è ripartita mille volte, dei cuori che hanno amato, odiato e tremato. Ai margini di questo universo, il nostro pianeta prosegue la sua orbita, mentre i destini si intrecciano, i due diventano uno, e altri luoghi vengono chiamati casa. Ed è proprio lì, che, forse, dovremmo dirigerci. Verso quelle luci calde e gentili che restano accese nella notte imminente. Verso fuochi che ancora bruciano, verso i sogni che non abbiamo osato confessare a nessuno, custoditi dietro le mura di una stanza o nel fondo di una canzone. Perché anche se il mare sommergerà la terra, anche se le montagne diventeranno polvere, nulla potrà mai spegnere, del tutto, l’amore custodito in quei rifugi dell’anima. È una romantica menzogna, certo, ma come tutte le menzogne, è fatta d’argilla e può riscaldare le notti più lunghe e più fredde. La sua luce blu può rendere meno cupi i pensieri più oscuri, cullare questo presente disperato, tentato e colpevole, che vorrebbe essere altrove, o forse punito, per tutto ciò che non ha voluto compiere.

Per tutti i semi che non ha avuto il coraggio di piantare. Perché temeva fossero semi maledetti, semi di diavolo, o peggio ancora, semi da cui sarebbero spuntati alberi di dollari, vendette ed urla così strazianti da squarciare i leggendari cieli americani, sopra treni a vapore che sfrecciano verso Ovest, verso la frontiera, verso la terra promessa. Un luogo dolce come i tuoi peccati, romantico come le tue lacrime, incantevole come il veleno che scorre nelle tue vene e ti annebbia i sensi, ti confonde le parole, fa esplodere i tuoi pensieri in una visione di città di perle, di sette torri, di nuvole immobili e di cuori di pietra. Un posto, di cui, forse, conosci il nome, ma temi di pronunciarlo, perché sai che ti resterebbe addosso, come una polvere sottile, come una ferita aperta.

Eppure è da lì che veniamo. Da promesse infrante, da storie crudeli, da tombe senza nome e tesori razziati da mani troppo cieche per vedere la tempesta in arrivo. E adesso che la tempesta è qui — con le sue foreste in fiamme, le inondazioni, la siccità — non ci resta che restare assieme, fino alla fine, come se fosse una festa. Uno strano party in cui, per troppo tempo, abbiamo creduto che il mondo girasse solamente attorno a noi.

In questo scenario, le canzoni degli U2 degli anni Ottanta non erano soltanto inni generazionali, ma veri e propri presagi, confessioni gridate nel vento, chiamate alla lotta e inviti alla resistenza spirituale. Erano preghiere laiche per chi non aveva più dio, né padroni, ma solo la propria inquietudine e il coraggio di credere, ancora, nella bontà del cambiamento. Erano racconti di corpi in marcia, di ombre che cambiano forma, ma non sostanza, di guerre mai finite e di amori più forti della polvere e del veleno del tempo. Colonne sonore di una giovinezza crepuscolare, che, forse, non abbiamo mai davvero smesso di attraversare.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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