sabato, Giugno 14, 2025
Il Parco Paranoico

Suoni di confine: Reggio Calabria, tra mito e malinconia

Ci sono musiche che nascono ai margini, nelle periferie, nei luoghi di confine, in quelle città ove il tempo scorre con una logica tutta sua, una logica fatta di attese, di silenzi e di preziosi ritorni. Reggio Calabria è una di queste città. Stretta tra il mare e le montagne, sospesa tra il mito e l’abbandono, è un luogo che custodisce una malinconia, contemporaneamente, antica e moderna, come una canzone mai del tutto scritta, mai davvero concepita da mente umana, che riecheggia tra le barche adagiate sulla spiaggia e le piazze deserte sotto una incessante pioggia primaverile.

La musica che qui si respira — reale o immaginaria — è fatta di riverberi e di dissolvenze, di echi mediterranei e di suggestioni che hanno il sapore, ovviamente, di antiche civiltà perdute. È il suono di un mare che non è mai stato solamente un semplice ed accattivante sfondo, ma, invece, un protagonista vivo ed inquieto, il custode di memorie, di viaggi interrotti e di promesse non mantenute. Tra le rovine di antiche colonne ed i resti di luoghi scomparsi, tra il mito di Persefone che, ancora, sembra aleggiare nei venti dello Stretto e il volto severo e riflessivo dei Bronzi di Riace, si avverte una vibrazione cosmica costante, una musica invisibile che lega il passato e il presente in un’unica, inesauribile e inesausta sinfonia.

In questo scenario di bellezza, ma anche di disfacimento quotidiano, la musica è testimonianza e tentativo di riscatto. Dai suoni sporchi, viscerali ed introspettivi di coloro che scelgono di raccontare la propria terra, senza cedere ai facili e banali folklorismi, fino alle sperimentazioni elettroniche che attingono, a piene mani, dalle melodie popolari, per poi trasfigurarle in paesaggi sonori sospesi e complessi, tutto sembra nascere dal rapporto fondamentale ed indissolubile con il mare. Le canzoni che abbracciano Reggio Calabria hanno tutte il sapore della salsedine, della fatica, del sudore e della memoria. Canzoni che, appunto, narrano di partenze senza più ritorno, di amori aggrappati a muretti consumati dal tempo e dello stesso eroico tempo che si insinua nel presente, come fosse una corrente carsica.

Ascoltare questi suoni, significa, dunque, affacciarsi su un confine liquido, cangiante e mutevole. È come sentire una ballad new wave che si mescola ai ritmi ancestrali di una antica processione religiosa, una traccia elettronica ambient che scivola sulla battigia, alle prime luci dell’alba, o un canto solitario che si perde tra le strade vuote e solitarie di un quartiere dimenticato.

Reggio Calabria è, in fondo, una città che vive di potenti ed immaginifici contrasti: il mito e la normalità quotidiana, la gloria e il facile disincanto, la voce delle onde e quella di coloro che restano. E, in questo spazio ambiguo, emotivo e struggente, la musica trova il suo senso più profondo e più puro, ovvero raccontare tutto quello che rimane inascoltato, celebrare tutto quello che sopravvive al disfacimento fisico e morale, dare ritmo a quelle stagioni che non passano mai davvero.

Forse, qui, più che altrove, la musica diventa il modo per abitare il silenzio.

Like this Article? Share it!

About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

Comments are closed.