Ci sono suoni che non nascono per piacere, ma per esistere. Questo album si muove, come un respiro antico, all’interno di una stanza senza finestre, evocativo e solenne, solido, eppure mutevole come l’acqua, come la materia dei sogni che si dissolvono prima che riusciamo ad afferrarne il senso. È una colonna sonora per un presente che sa di fine, un tentativo, disperato e necessario, di trasmettere e diffondere calore in uno spazio vuoto e gelido, abitato solamente da figure immobili, narcotizzate ed intossicate da un flusso continuo e violento di informazioni, di dati, di parole, di immagini, di video, di rumori che non concedono alcuna tregua e si insinuano, nel cervello, come fossero aghi sottili.
Attorno, il buio. Il silenzio. Lo sconforto.
In questo scenario che odora di disfatta e di abisso, alle due artiste non rimane che plasmare nuovi suoni, con un’intensità quasi primordiale, con una naturalezza che sfida il presente e le sue regole perverse, quelle che ci vogliono nemici, vittime e carnefici allo stesso tempo. Tutti, senza eccezione, impegnati a costruirci addosso una piccola irrealtà, una bolla individualista di verità prefabbricate ad arte, mentre il violoncello, la chitarra, il pianoforte, gli archi e le incalzanti e nervose trame elettroniche si insinuano, come correnti sotterranee, dentro di noi, scuotendo sinapsi atrofizzate, risvegliando neuroni rimasti troppo a lungo congelati, forzati a vivere su di un piano monodimensionale, costituito da una sola storia, da una sola verità, un solo punto di vista.
Le sperimentazioni di Aisling Brouwer e Anna Phoebe non si accontentano di suggerire strade alternative, ma intendono rompere, spezzare, smontare, riscrivere. Sono voci che reclamano complessità, che restituiscono il diritto alla domanda e alla contraddizione, che riportano ogni cosa sui piani differenti dell’esistenza, dove domande e risposte si rincorrono e si annullano continuamente, bagliori improvvisi su un cielo che, fino a ieri, ci era sembrato troppo immobile e senza nessuna stella. Le due compositrici, invece, alterano e destrutturano le forme note, ricostruendole senza paura, ridando corpo e senso a quelle percezioni che qualcuno, da troppo tempo, ci suggerisce e, sempre più spesso, obbliga ad accantonare, a considerare inutili, scomode e pericolose.
È, in fondo, il recupero di un’umanità che il presente cerca, ostinatamente, di disciplinare, di ridurre a funzione, di inchiodare a schemi e modelli auto-sufficienti, che, però, finiscono, immancabilmente, per alimentare nuove guerre, nuove paure, nuovi conflitti, nuove devastanti forme di isolamento e di controllo. Peccato che la musica — quella viva, quella che ha il coraggio di sporcarsi di realtà — riesca ancora a scardinarli, ad insinuarsi nelle loro fessure, a rimettere in circolo il dubbio e il desiderio. E questo album, in questo momento storico, è proprio questo, ovvero una mappa sonora per chi ha, ancora, voglia di immaginare. Di chiedere. Di rispondere. Di ricordare di essere umano.
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