C’è sempre qualcosa di trascendentale nella musica di Lyra Pramuk, qualcosa di inafferrabile, di invisibile e insieme sfuggente, che si insinua tra le pieghe del reale e le scosta, con delicatezza, lasciando intravedere un oltre. È una musica che non si accontenta di essere ascoltata, ma che pretende di essere vissuta, di essere respirata, come un’aria rarefatta e purissima, capace di oltrepassare il velo effimero del visibile e condurci nel regno platonico delle idee, là dove tutto è forma pura, armonia primordiale, equilibrio sacro.
Attraverso il tessuto sonoro che intreccia voce e trame minimali, suggestioni elettroniche, rimandi alla tradizione classica e riverberi di un folk ancestrale, Lyra Pramuk riesce ad evocare quella dimensione cosmica in cui l’essere umano, per un istante, torna a sentirsi parte di un Creato armonico ed indivisibile, lontano dalle miserie contingenti dei patemi quotidiani, dagli affanni che corrodono l’anima, dalle angosce che avvelenano le relazioni tra i popoli, le nazioni, gli individui.
Perché, in fondo, il male è uno solo; che sia collettivo oppure individuale, esso ha la stessa matrice caotica e disordinata, la stessa origine cieca ed irrazionale, in conflitto perpetuo con quelle forze invisibili, ma tangibili, che hanno dato forma all’universo: l’ordine, la proporzione, la simmetria, la bellezza inaccessibile della matematica e della fisica, l’equilibrio di leggi che non giudicano o discriminano, ma creano. È in questa tensione, tra caos ed ordine, che si collocano i suoni di Lyra Pramuk: come onde musicali che accarezzano e scuotono, che guariscono ed inquietano, che rapiscono e consolano.
Le sue sillabe sospese, i vocalizzi che sembrano nascere da un linguaggio dimenticato ed universale, diventano frammenti di un canto antico che attraversa il tempo, testimone di un sentire arcaico capace di proiettarsi nel futuro dell’umanità. Una lingua senza patria, né epoca, che unisce il Sole alla Terra, il corpo all’infinito, il gesto umano alla vastità del cosmo. I registri più alti e quelli più bassi si fondono, si confondono, si corteggiano in un abbraccio strumentale che supera la logica del contrasto per divenire un tutt’uno con quella della metamorfosi.
Perché tutto, nella musica di Lyra Pramuk, è in evoluzione. La commistione di elementi diversi che si trasformano in creature nuove, transitorie e mai uguali a se stesse, è l’essenza di questo suono in perenne divenire. Un ciclo creativo che richiama il movimento delle stagioni, non solo della Terra, ma della galassia intera, come a suggerire che anche le stelle, i pianeti, le nebulose e gli innumerevoli e differenti corpi celesti conoscono l’arte della trasformazione e, quindi, della perenne ed eterna rinascita.
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