“Lonely People With Power” è un disco sofferente, straziante e, proprio per questo, disperatamente necessario. Un’opera che si muove come una creatura ferita in un mondo che sanguina assieme a lei, mentre suoni mastodontici e possenti si abbattono sulle nostre percezioni come onde scure, come correnti impetuose in grado di deformare il tempo e lo spazio, lacerare il tessuto delle nostre certezze, costringendoci a fissare il nostro riflesso, senza pietà, né compiacimento. La realtà, fragile e sfilacciata, soccombe anch’essa, come travolta dalla devastante e liberatoria irruenza sonica dei Deafheaven.
Il metal è salvo, ancora una volta.
Il metal è sincero, ancora una volta.
Il metal è cosciente, ancora una volta.
Ma possiamo forse dire la stessa cosa di noi stessi? Della nostra mente confusa, dei nostri legami scivolati nella superficialità, dei rapporti umani ormai ridotti a gesti automatici e simulacri digitali? La risposta è dolorosamente chiara: no. Perché questo disco — cupo, muscolare, febbrile — dilata le crepe che avevamo scelto di ignorare, le incrinature che serpeggiavano sotto la patina liscia delle nostre esistenze scialbe e distratte. Adesso quelle fenditure sono voragini, profondi baratri di fragorosa e sconvolgente stupidità collettiva. E a guardarci dentro troviamo solamente il nostro complice spirito rinunciatario.
Il disco non è solo una sequenza di brani, è uno specchio deformante che ci restituisce l’immagine di un’umanità impaurita, stanca, incline a scegliere le soluzioni più semplici e crudeli, a delegare la propria coscienza a imbonitori di passaggio, a ciarlatani desiderosi unicamente di dividere, frammentare, spezzare in pezzi sempre più piccoli, insignificanti e inefficaci, ciò che, una volta, era amorevole, solidale, veritiero. E in questo meccanismo perverso di semplificazione e di sopraffazione, smarriamo la passione per la ricerca, per l’incontro, per il rischio. Ci arrendiamo a ciò che è disponibile, rapido, servito, offerto, senza più fame, senza più domande.
Di fronte a questa devastazione etica e culturale, le scelte musicali dei Deafheaven non potevano che virare verso il metallo incandescente, spigoloso e incalzante, metallo fuso con le ritmiche impetuose di un rock industriale che restituisce alla musica la funzione di detonatore e di lamento, di protesta e di preghiera. Un suono tetro ed ombroso, come la nostra quotidiana razione di notizie, di misfatti, di incomprensioni, di faide virtuali e non, una colonna sonora adeguata per una società che ha fatto dell’oscenità e della pornografia del potere e della mediocrità il proprio intrattenimento preferito.
“Lonely People With Power” è anche un canto triste, un’elegia post-urbana che, tra le sue pareti di distorsioni e urla lancinanti, lascia intravedere qualche passaggio più melodico, più contemplativo, venato di malinconia post-rock, come il ricordo di un’epoca — forse solo immaginata — in cui riflettere era un atto possibile, in cui la parola aveva ancora un peso, in cui la fragilità non era una colpa. Ma oggi tutto ciò sembra sepolto sotto cumuli di rumore digitale, di militarismo, di mascolinità repressa, di nemici immaginari, di vecchie e nuove sdoganate e giustificate intolleranze.
I Deafheaven firmano così il loro disco più crudele e necessario, un album che non concede tregua, né indulgenza, che ti spinge contro il muro del presente e ti chiede di scegliere: o arrenderti al flusso acefalo di un’esistenza filtrata da schermi fasulli, oppure urlare, vibrare, vivere ancora, dentro il dolore e dentro la meraviglia.
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