sabato, Luglio 12, 2025
Il Parco Paranoico

L’Intelligenza Artificiale e le sue immagini riflesse

Un’immagine che non esisteva.

Un’eco lontana del celebre “Guernica” di Pablo Picasso, che abbiamo prima immaginato, poi affidato ad una intelligenza artificiale perché ne facesse immagine visibile, corpo di luce e di bit. Così, ciò che giaceva imprigionato nella penombra di una mente umana ha preso forma: una città frantumata in schermi spenti e specchi infranti, popolata da figure deformi che urlano in un silenzio assoluto, confinate nei recessi gelidi di un tablet, di uno smartphone, di una finestra virtuale senza aria.

In questo scenario, anche la colomba, antico emblema di speranza, smarrisce ogni significato, svuotata di senso umano, ridotta a ferita digitale da cui scorreranno, per sempre, stringhe di dati e algoritmi senz’anima. Eppure, è bene ricordarlo: per quanto straordinaria e potente, un’intelligenza artificiale non è che uno specchio amplificato delle idee che vi si riflettono. Senza la verità, senza il dolore, senza l’intuizione, senza la fantasia e senza i necessari dubbi, che solamente una coscienza umana può contenere, essa non genera creazione, ma vuota ripetizione; non offre svelamento, ma morboso plagio, pericolosa menzogna, sciocca falsificazione. È nella qualità dei concetti che le affidiamo che risiede la sua efficacia, nel fuoco, cioè, di ciò che noi stessi scegliamo di dire e di tramandare.

Ed è questo, in fondo, ciò che quest’opera intende raccontare: la frantumazione della nostra umanità in una dimensione virtuale che amplifica ogni paura e disperde ogni contatto reale, lasciandoci più soli, più diffidenti, più lontani.

Un urlo digitale, un pianto spezzato in un numero abnorme di bit. Qui non c’è più carne, solamente schegge di emozioni proiettate su schermi gelidi, annebbiate da logiche elettroniche e silenzi algoritmici.

Gli occhi della madre digitale sono, appunto, crepe in uno schermo. Il bambino in braccio è un volto spento, un display nero, statico e impenetrabile. Un sussurro di vuoto, di dissolvenza emotiva, dove il corpo diventa trasparente e la connessione col mondo reale si spezza.

Il cavallo meccanico è un colosso di metallo morente, metà animale e metà memoria corrotta. I suoi nitriti sono rumore bianco. Esso è parte di un rituale al limite del vuoto: cadere per sentirsi vivi, anche se si è solo una crepa curiosa nel codice.

L’uomo con il visore si sente prigioniero, intrappolato, scolorato, emaciato, fluttua tra notifiche vuote e feed senza un cuore. Egli impersona quella che è una triste e rassegnata elegia: il video ha ucciso la voce, e noi siamo diventati spettatori senza sentimenti, spettatori senza percezioni.

La colomba cibernetica, d’altro canto, non porta nessuna pace, ma solo una pioggia infinita di numeri e di messaggi interrotti, una nuvola immensa e mortificante di relazioni artificiali, a testimoniare la nostra vita ridotta ad un palcoscenico senza pubblico.

La donna con la maschera QR è, invece, lei stessa parte di un codice software, la sua identità viene ridotta a simboli da leggere e decodificare. Le catene di luce la imbrigliano, e il suo grido è l’ennesimo urlo, ennesimo eco della sua eterna solitudine.

Gli specchi rotti sono le identità spezzate delle persone, ciò che resta di parole, di frasi, di discorsi, ormai divenute solamente manifestazioni senza più voce, bolle di rabbia, di desiderio, di indignazione, che, adesso, vengono tutte trasformate in intrattenimento programmato, mentre una canzone – sempre la stessa – ronza tra le macerie, le rovine ed i detriti.

La nostra umanità si è frantumata in milioni di riflessi. Abbiamo smesso di toccarci davvero, di sentire il vero calore umano, di provare la paura vera o l’amore vero. Ogni singola e minuscola emozione viene proiettata in una dimensione virtuale che amplifica, deforma, ed infine svuota. Persino l’amore, la passione e il sesso diventano banali esperienze di superficie, private della meraviglia dell’imperfezione, della fatica, della scoperta, del traguardo. Viviamo dentro una prigione trasparente di visibilità forzata e di continuo isolamento emotivo. E, in questa prigione schematica, diffidiamo, ovviamente, l’uno dell’altro, ci esponiamo, continuamente, eppure rimaniamo, eternamente, invisibili.

Come statue digitali di carne e di vetro.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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