Aspirare a un luogo in cui sentirsi davvero felici: non una felicità superficiale o confezionata, ma quella che rapisce, che solleva, che lascia nudi — nella forma e nella sostanza — senza esporci al giudizio, alla condanna, alla rituale lapidazione sociale. Un luogo libero da ipocrisie, da compromessi forzati, da quelle scelte utili, comode, redditizie che ci vengono sbattute addosso come fossero l’unica strada possibile. Aspirare a un altrove dove l’amore non si misura, non si pesa, non si monetizza; dove la vita non è un algoritmo da ottimizzare, ma un respiro da seguire.
“Olimpo Diverso” di Umberto Maria Giardini è la ricerca — musicale, umana, filosofica, ideale e inevitabilmente politica — di quel luogo perduto. Un tentativo di mapparne i contorni, di immaginarne la geografia, di ricostruirne la consistenza fisica e la vibrazione intima. È un Olimpo sì, ma non quello della perfezione marmorea; è un Olimpo fragile, carnale, possibile. Un luogo che abbiamo forse abbandonato da tempo, inghiottiti da bisogni tecnologici e mediatici sempre più incalzanti, che ci seducono con la loro presunta urgenza ma finiscono per sottrarci la capacità di ascoltare, di vedere, di sentire.
Eppure Umberto Maria Giardini ci dice che non tutto è perduto. Riusciremo a ritornarci?
Non lo sappiamo — nessuno può saperlo — ma possiamo provarci. Possiamo crederci. Possiamo avvicinarci passo dopo passo, stagione dopo stagione, evitando di disperdere le nostre emozioni in un eterno copia-incolla di desideri sintetici che non ci appartengono. Possiamo
sottrarci alla logica del trascinamento sociale che ci impone di adottare gusti, passioni, ambizioni precostituite; possiamo abbandonare ciò che non ci rappresenta e imparare, finalmente, a pronunciare il nostro nome interiore.
La musica d’autore, quando è autentica, serve a questo: a cambiare il motore. A scolpire nuove idee. A trovare energie che non sapevamo di avere. Ad inventare un’esistenza diversa, rovesciando ogni convinzione che abbiamo scambiato per certezza. Perché, in fondo, siamo noi stessi a costruire il nostro orrore quotidiano: l’ovvio, lo scontato, il certo. È lì che la noia attecchisce, che l’apatia ci rende cavie, che la stanchezza ci corrode a poco a poco, fino ad ammazzarci nell’anima, prima ancora che nel corpo.
“Olimpo Diverso” è un atto di ribellione contro tutto questo. E le sue melodie, man mano che scorrono, si aprono verso dimensioni sempre più eteree, sperimentali, delicate. L’elettronica entra in punta di piedi, come un vento notturno che smuove le tende della percezione. E all’improvviso affiora un embrione sonoro surreale, misterioso, quasi alieno alla materia pratica della quotidianità: un frammento che ci ricorda che la vita, quando si disfa delle abitudini, sa generare meraviglie. È proprio in questo spazio sospeso che nasce la poesia embrionale di ricerca che segna il disco: una poesia fatta di tentativi, di scintille, di intuizioni ancora informi; una poesia che non offre risposte, ma invita a porsi nuove domande. È l’inizio di un viaggio e non la sua conclusione, la promessa di un linguaggio in divenire, la possibilità di scoprire un mondo che si costruisce mentre lo si sogna. E ci ricorda che “Olimpo Diverso” non è un luogo lontano: è un luogo che aspetta di essere immaginato, ascoltato, raggiunto. Dentro di noi.


























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