venerdì, Dicembre 5, 2025
Il Parco Paranoico

I libri di Michele Sanseverino

POESIE SENZA PAROLE: CARTOGRAFIE DI UN LATO NASCOSTO

Raccolta di poesie

Qui le parole si negano e si ritirano, come se avessero esaurito la loro forza, come se non bastassero più a comunicare l’essenziale.
Si frantumano, si piegano, si dissolvono come conchiglie vuote abbandonate sulla riva.
Al loro posto resta il silenzio: un silenzio fertile, inquieto, mai del tutto immobile, interrotto da improvvisi bagliori, da allusioni che lampeggiano come fuochi distanti nella notte.

Il vuoto non è assenza. È materia viva, è respiro che si dilata, è lo spazio in cui i frammenti si cercano e talvolta si ricompongono in figure nuove, in immagini spezzate che si riflettono come schegge di specchio.
Echi che non si chiudono mai in un senso compiuto, che restano sospesi, incompiuti, e proprio per questo più veri.

Sono poesie di confine, che abitano le soglie.
Vivono di ciò che non viene detto, di ciò che scivola nell’intervallo tra due parole, di ciò che resiste nelle crepe dell’enunciazione.
Sono attimi che oscillano tra ombra e luce, tra presenza e mancanza, tra ciò che si mostra e ciò che si sottrae.

Forse la loro forza sta proprio lì: nell’indicare senza possedere, nel lasciare intravedere senza afferrare.
Sono il balbettio del mondo che non trova un linguaggio definitivo, ma che proprio nella sua incertezza rivela la sua essenza: fragile, sfuggente, eppure colma di senso.

E allora comprendiamo che il silenzio non è un vuoto da temere, ma una soglia da varcare: l’unico spazio in cui la parola, negandosi, torna a farsi infinita.

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CRONACHE DAL PARCO PARANOICO: CANZONI, VISIONI E FUTURI MAI NATI

Antologia di articoli pubblicati sul Parco Paranoico

Credevo di urlare, ma in realtà tacevo.

Ultimo rifugiato, chiuso dentro un’eco di parole che rimbalzavano solo dentro di me, escludendo chiunque tentasse di varcare la tagliente soglia della mia coscienza.
E poi anche tu — malata di un vuoto senza forma — te ne andasti via, lasciandomi solo.
Non ti biasimo. È una canzone talmente triste da far impazzire i bambini, da svuotarli di ogni sorriso, mentre corrono a nascondersi tra le braccia delle loro madri paranoiche e compiacenti.
A casa, dove quel bene intransigente e assoluto che vedo nei tuoi occhi divora ogni cosa.

Sei l’ipnosi.

Io, invece, sarei voluto restare qui, sotto questi cieli di alberi di limone.
Ma sono stato solo un errore, un vizio, un torto, un oggetto inutile da gettare via quando non serve più.
Perché siamo prigionieri di giorni e di notti che separano, invece di unire;
che distruggono, invece di costruire;
che restano svegli, invece di sognare.
Aggiungendo dolore su dolore, disperazione su disperazione, sangue su sangue, lutto su lutto.
Un gioco perverso che consuma i suoi stessi giocatori, nell’attesa di quel taglio finale — netto, abbagliante — che sarà l’inizio di un’altra storia.

Una storia nuova.
Per un mondo nuovo.
Per un anno nuovo.
Un’epoca in cui slogan e proclami non avranno più senso, e spegneremo internet, la televisione e ogni altro rumore artificiale.
Ascolteremo, finalmente, il suono delle onde.
E forse, al di là di questo mare torbido, rabbioso e insaziabile, troveremo un approdo.

[ai rifugiati e a quelli che cercano un destino migliore]

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FRAMMENTI DI TEMPESTA: RIEDIZIONE FLUIDA

Raccolta di poesie

Quanti sono i futuri che abbiamo smarrito lungo il cammino?

E in quanti passati che non sono mai esistiti abbiamo cercato rifugio, un senso, una carezza capace di consolarci?

Il presente, intanto, si dissolve.

Resta un chiarore artificiale che si riflette sulle tangenziali affollate, sugli specchietti retrovisori, sui semafori che lampeggiano a vuoto. Un brusio costante di sirene e di motori, di voci filtrate da schermi, di vite appese a una connessione instabile. Ogni gesto diventa automatismo, ogni attesa una coda, ogni respiro un algoritmo che calcola la distanza fra un istante e il successivo.

Così ci ritroviamo sospesi in un mondo dove il tempo non scorre, ma ruota su sé stesso come una giostra inceppata. Un mondo che profuma di benzina e caffè bruciato, di slogan che scivolano lungo le pareti lisce delle nostre coscienze, eppure continuiamo a cercare un varco — una crepa nel muro da cui possa filtrare, anche solo per un attimo, la luce di un’altra possibilità.

E allora restano i frammenti: brandelli di tempesta, parole che si agitano ancora, impulsi che tornano a vibrare dopo lunghi silenzi. Non promesse di salvezza, ma segni di vita: scintille che cercano un cielo dove potersi accendere, un’onda che ancora ricorda la forma del mare.

Perché questo nostro mondo continua a chiederci di essere ascoltato, prima che il rumore del presente lo cancelli del tutto.

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ULTRAVIOLETTO: RIEDIZIONE FLUIDA

Raccolta di poesie e altro

Avvenne tutto in una notte.
Barnaba, smarrito tra le pieghe dei suoi pensieri e delle sue ossessioni, vagava sotto una luna dalle sfumature ultraviolette, dove l’aria sapeva di ansia e di presagio.
Fu allora che incontrò un uomo con un basso — il suo strumento pulsava come un cuore in fuga, alla ricerca di una libertà antica, quella del fiore che continua a nascere, generazione dopo generazione, sfidando ogni vento ostile.

Più avanti, un uomo con una chitarra pizzicava note leggere, taglienti come schegge di sogno. Le sue melodie si insinuavano nell’anima, invitando a resistere, a non piegarsi mai, a non accettare la resa.

Quegli uomini non avevano palazzi, né ricchezze, né abiti di valore. Possedevano soltanto le proprie scelte — e la loro musica, fragile e potente come una preghiera scagliata contro il cielo.

Fu così che, quella notte, una luna ultravioletta illuminò la strada: una strada di rabbia, di amore e di follia.
E in quella luce aspra e magnetica, una banda di poeti e di balordi, di burattini e di briganti, cominciò a camminare.
Verso un orizzonte che non prometteva salvezza, ma soltanto la vertigine di restare vivi.

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