sabato, Luglio 12, 2025
Il Parco Paranoico

Viaggio: una playlist di smarrimento e di speranza.

Un viaggio mentale, una fuga dalla realtà, sia fisica, che interiore. Magari essere rapiti dagli alieni e ritrovarsi a osservare il pianeta dall’esterno, misurando, con sguardo straniero, lo spaesamento psichedelico delle persone, ugualmente prigioniere di una perfida e snervante routine quotidiana, fatta di ruoli imposti, di distanze incolmabili, di ostacoli sempre uguali. Vittime e carnefici, ammassati dentro città che sono prigioni e labirinti, dentro vite che somigliano a trappole per topi, lungo strade che promettono salvezza, ma che non conducono mai davvero da nessuna parte.

Come cantano i Radiohead in “Subterranean Homesick Alien”, il desiderio più puro non è partire, ma sparire. Essere altrove, qualunque cosa possa significare.

È una corsa disperata per sottrarsi a qualcosa di pressante, di urgente, di brutale e di indefinito. Ed allora tanto vale non fermarsi mai. Meglio abbandonarsi al perenne movimento, alla deriva emotiva, alla peregrinazione sentimentale attraverso relazioni, legami e rapporti più o meno tossici, il cui unico tratto d’unione è quella voglia sordida e struggente di perdersi nella malinconia elettrica della notte.

Canzoni come “Every You and Every Me” dei Placebo o “Leif Erikson” degli Interpol raccontano, perfettamente, questo bisogno di attraversare confini invisibili, inseguendo illusioni più che vere e proprie mete, tra la voglia di essere amati e il desiderio di scomparire per sempre.

Così si attraversano confini geografici ed ideali. Il Messico e gli Stati Uniti di “Crystal Frontier” dei Calexico, il Mediterraneo delle rotte disperate, i Balcani dimenticati dalle mappe emotive dell’Occidente, il passato e il futuro, il sogno americano e la vecchia, malata e decadente Europa. Amori che somigliano a miraggi, e solitudini che si spalmano, come catrame, su autostrade bagnate da tramonti cinematografici.

I R.E.M. con “Drive”, intanto, ti accompagnano in quelle fughe in auto di notte, dove ogni luce al neon sembra promettere una impossibile redenzione.

Nel frattempo, i ricordi dell’infanzia, del quartiere o del paese natio, dei tuoi genitori, rimangono un altrove dispotico, una nostalgia ingannatrice, una promessa di felicità che si traduce solamente in alienazione, in quella sensazione di eterno ritorno in luoghi che, oramai, non esistono più, proprio come cantavano i Grandaddy in “The Crystal Lake”, il paradiso immaginato finisce sempre per essere una prigione.

Eppure, il viaggio rimane un rituale sacro. Il viaggio è una narrativa ancestrale che il rock alternativo ha sempre saputo raccontare, nel suo bisogno viscerale di smarrirsi e di trovarsi, di dimenticare e di riconoscersi, consapevole che non è mai stata la meta a contare, perché Itaca non esiste, Itaca non è mai esistita, Itaca non significa nulla. Lo cantavano anche gli Smashing Pumpkins in “Thirty-Three”: “tomorrow’s just an excuse away” — il domani è solo una scusa per continuare il viaggio.

Conta, quindi, solo il percorso, conta solo la tappa successiva, conta il prossimo tramonto su un’altra città sconosciuta, un’altra canzone che esploderà nelle tue cuffie, come se si trattasse di una rivelazione privata, l’unico modo per diventare quella persona che ancora non sei, ma che già intravedi, sfocata, in lontananza.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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