venerdì, Dicembre 5, 2025
Il Parco Paranoico

Il boato del silenzio: il murale cancellato di Banksy e la voce della Resistenza

Un giudice che alza il martello non per amministrare giustizia, ma per colpire, con violenza, un manifestante inerme. È l’ultima immagine di Banksy, un’opera che pare condensare, in un solo istante, tutta la crudezza del nostro presente: la repressione che diventa unica legge, il potere che traveste di legalità la violenza, la protesta che viene criminalizzata. Non è un caso che quest’opera arrivi a pochi giorni dall’arresto, a Londra, di quasi novecento persone colpevoli soltanto di aver alzato la voce a favore di Palestine Action.

In Regno Unito, come in molti altri paesi occidentali, la solidarietà alla Palestina viene facilmente bollata come estremismo, e persino la semplice bandiera palestinese può diventare un crimine. Il simbolo di un popolo oppresso diventa così un bersaglio. È la macchina della repressione che si muove rapida e implacabile: il murale di Banksy è stato subito coperto e poi rimosso, con la scusa che l’edificio fosse un bene protetto. Come se il bene da proteggere fosse la facciata di un muro e non la verità che vi era impressa.

Eppure Banksy è lo stesso artista le cui opere campeggiano nei musei più prestigiosi, studiate, celebrate, vendute a peso d’oro, trasformate in simboli di un’arte che sa parlare al presente. Ma quando il suo messaggio diventa scomodo, quando tocca le corde più sensibili della complicità occidentale in quello che è un genocidio, allora l’arte non è più degna di attenzione, diventa un intralcio da cancellare. Così il governo britannico, fedele alleato della follia bellica israeliana, ha decretato che quell’opera non meritasse di esistere.

La scena è grottescamente simbolica: il sangue rosso del manifestante che sgorga dal murale andava ripulito in fretta, cancellato dalla nostra vista, proprio come si tenta di cancellare il sangue palestinese dalle nostre coscienze e dai nostri salotti televisivi. È la stessa ipocrisia con cui rimandiamo la questione palestinese a un futuro mai realizzato di “due popoli e due stati”, mentre, intanto, stringiamo accordi commerciali e militari con un governo che, ogni giorno, si mostra spietato, sprezzante, colonialista e fascista.

Israele viene venduto come “l’unica democrazia del Medio Oriente”, ma, nei fatti, continua a costruire il proprio unico stato dal Fiume al Mare, occupando Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Non lo dice solamente chi manifesta, lo proclamano, apertamente, Netanyahu e i suoi ministri nazisti, rivendicando il progetto palese di cancellazione sistematica di un popolo. Eppure, se un manifestante grida lo slogan “from the river to the sea, Palestine will be free”, ecco che i media, i giornalisti, i moralisti e i politici occidentali, compresi i nostri, gridano allo scandalo, come se quelle parole fossero più pericolose delle bombe, più violente dei coloni, più estreme dell’assedio e della fame inflitti a milioni di civili.

Il governo britannico, come tanti altri governi europei, non ha interesse né alla giustizia, né alla pace. Ha interesse a sostenere Israele, a reprimere il dissenso interno, a colpire chiunque — artisti, musicisti, attivisti — osi sollevare il velo dell’ipocrisia. I Kneecap, o qualsiasi altra band, artista o collettivo che alzi la voce, vengono additati come minacce, invece che ascoltati come testimonianze di libertà.

Eppure, nonostante la cancellazione del murale, il messaggio dell’opera resta. Anzi, si amplifica. L’ombra lasciata su quel muro diventa, essa stessa, un segno, un monito: i governi possono tentare di coprire, di rimuovere, di cancellare, ma il dissenso trova sempre il modo di sopravvivere. Il boato del silenzio è più assordante di qualsiasi censura.

Perché non si può cancellare l’arte, non si può cancellare la musica, non si può cancellare la libertà di parola. E non si può cancellare la voce di un popolo che continua a gridare il diritto alla propria esistenza: la voce palestinese, oggi come ieri, resiste, si fa eco sulle pareti abbattute, si incide sui muri rimossi, si trasforma in memoria collettiva. Quell’immagine, ora invisibile, continuerà a parlarci per sempre.

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About The Author

Michele Sanseverino è poeta, scrittore e ingegnere elettronico. Creatore della webzine di approfondimento musicale Paranoid Park (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine IndieForBunnies (www.indieforbunnies.com), intreccia analisi critica e sensibilità letteraria in uno sguardo che attraversa musica, poesia e cultura contemporanea. Nel 2025 ha pubblicato la raccolta di poesie "Poesie Senza Parole: Cartografie Di Un Lato Nascosto", opera che esplora le zone d’ombra e le risonanze interiori del vivere. Nel 2025 ha pubblicato l'antologia "Cronache Dal Parco Paranoico: Canzoni, Visioni e Futuri Mai Nati", articoli tratti dalla webzine Paranoid Park che ripercorrono il nostro cammino dalla fine della pandemia ad oggi. Inoltre: "Ultravioletto: Riedizione Fluida" e "Frammenti Di Tempesta: Riedizione Fluida"

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