Una dimensione altra, sospesa tra vita e disgregazione. Così appare la musica di Nero Kane, dal vivo, quando la notte si fa rito e la chitarra diventa un varco: un’uscita dal rumore sterile del mondo per entrare in una realtà più profonda, dove i tormenti interiori si purificano e le emozioni prendono forma, libere da ogni artificio. In quell’istante, le note estirpano le nostre ombre, contaminano gli stati d’animo dei presenti, si insinuano tra le crepe delle coscienze — come una fiamma che non brucia, ma illumina.
Oltre la barriera delle macchine “intelligenti”, oltre l’onnipresente interferenza dei dispositivi elettronici, la musica di Nero Kane apre un varco verso una verità concreta di sentimenti e di scelte, verso una spiritualità laica che si manifesta in vibrazioni, sospiri e gesti lenti. È una cerimonia del sentire, una liturgia del corpo e della voce, un’evocazione di ciò che sopravvive al silenzio meccanico del nostro tempo. Certo, la musica resta anche intrattenimento, ma nelle mani di Nero Kane e Samantha Stella diventa qualcosa di più: un’esperienza che trascende la forma, rifiutando i canonici ritornelli per lasciarsi attraversare da trame ipnotiche, da remoti echi grunge, da riverberi acustici che si dissolvono come preziosi miraggi. Il loro suono si muove tra un folk-rock scarnificato, deviazioni elettroniche minimali e lente pulsazioni rituali, evocando deserti interiori e cieli carichi di presagi.
In questo spazio sospeso, etereo e rarefatto, profano e sacrale, si muovono le nostre coscienze “inscatolate”, chiuse dentro le logiche quotidiane di produzione e
di consumo, di performance e di distrazione superficiale. Ma la musica di Nero Kane apre un portale: un territorio ampio e spazioso, onirico e contemplativo, dove risuonano amore, poesia e morte. La morte, qui, non è fine, ma necessario passaggio: una soglia sciamanica, una deriva spirituale che tenta di spezzare il loop di distruzione e di caos in cui il mondo terreno si è avvitato. Un mondo dominato da polemiche sterili, invettive velenose, derive autoritarie, da un’atroce e quotidiana disumanità. In quel vortice, le voci di Nero Kane e Samantha Stella si cercano, si avvolgono, si fondono in una spirale trepidante. È lì, nel punto d’incontro delle loro voci, che il nostro dolore collettivo si eleva — il dolore ignorato dal mondo delle apparenze e della virtualità smaniosa, quello che nessun algoritmo saprà mai decifrare. Quel dolore si trasfigura in canto, in respiro, in gesto liberatorio. Ci permette di plasmare, di nuovo, le idee, i pensieri, le parole, come se per un istante tornassimo ad essere padroni del nostro destino.
Questo è il fine ultimo dell’arte, e della musica: vincere la solitudine, disinnescare il vuoto, restituire senso alla vulnerabilità umana. Il concerto di Nero Kane, con le sue riletture gotiche e “drakiane” della realtà contemporanea, con la sua drammaticità lucida e spirituale, è stato un viaggio dentro le viscere del tempo. Un attraversamento delle tenebre per ritrovare, alla fine, la voce delle stagioni che rinascono, quella che parla di addii e di ritorni, di perdite e di conquiste, di disincanto e d’amore. E, alla fine, quando tutto si spegne, al Kindergarten di Benevento ed altrove, resta la sensazione di avere ricevuto una bussola sonora: fragile, luminosa, essenziale.
Nero Kane ce la porge come un dono, ma la direzione, come sempre, spetta a noi trovarla.


























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