Un vento feroce e luminoso di distorsioni, di melodie oblique e di incanti improvvisi, ha attraversato l’Arci Bellezza come un’onda che non chiede permesso. I Water From Your Eyes sono apparsi sul palco con la naturalezza di chi non deve dimostrare nulla, ma finisce, comunque, per travolgere tutto: confermano, ancora una volta, quell’energia positiva e inquieta che la loro musica è capace di generare, come una scossa che ti percorre la spina dorsale e rimette in circolo ciò che, da tempo, avevi dimenticato.
Onde elettriche si sono propagate dalla prima nota, intrecciandosi alle immagini psichedeliche proiettate alle loro spalle: vortici cromatici, frammenti pulsanti, apparizioni liquide. Sembrava che lo schermo respirasse insieme alla band, trasformando la sala in una piccola caverna visionaria in cui il suono e l’immagine diventano un unico corpo vibrante. Un’atmosfera appagante, avvolgente, che ti cattura e rimanda al mittente, per una notte, tutte le ansie e i disagi che questa società conformista, mediatica, paternalistica e solo in apparenza accogliente ci scarica addosso ogni giorno. Un mondo che pretende di essere un rifugio, ma che, spesso, si rivela un assedio, soprattutto per chi è più fragile e si ritrova inchiodato alla precarietà e al labirinto di un equilibrio economico sempre promesso e mai concesso.
E allora, almeno per una sera, le voragini della cattiva politica si dissolvono, riempite dalle canzoni che scorrono come fiumi ostinati di pace e serenità.
Sul palco si costruisce un trionfante miscuglio: indie-rock nervoso e tagliente, vibrazioni post-punk che
richiamano epoche di ribellioni trascorse, riverberi di un passato dark-rock che ritorna come un fantasma benevolo, e poi divagazioni sintetiche che aprono varchi inattesi. La sezione ritmica — un basso che pulsa come un motore sotterraneo, una batteria che incalza senza tregua — è un’ossatura elastica che sostiene tutto, mentre la chitarra, con le sue distorsioni rabbiose, lacera l’aria e la ricompone, scacciando ogni tensione accumulata, ogni pensiero rigido, ogni corazza di apatia e stanchezza che ci immobilizza.
E così ci ritroviamo a muoverci, a scuoterci, a seguire il ritmo, senza più filtri, né resistenze. A ballare come se fosse l’unico gesto possibile: contro ogni distanza, ogni crudeltà, ogni frattura invisibile che sembra dividerci dal resto del mondo. A ballare contro la sfiducia, contro le ricostruzioni disoneste della realtà, contro chi vorrebbe convincerci che tutto sia già scritto e che non resta altro che adeguarsi.
Forse cadremo a pezzi — e i Water From Your Eyes lo sanno bene — ma, di certo, non accadrà questa sera. Non mentre il groove ci sorregge, non mentre la sala si accende di luci e di corpi in movimento, non mentre le crepe del mondo sembrano, per un momento, superabili, quasi addirittura riparabili.
È questa la loro forza: ricordarci che, finché c’è un suono che ci scuote e una danza che ci salva, non tutto è perduto. O almeno, non ancora.


























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