C’è una nebbia sottile che avvolge le canzoni dei Green Star, una foschia elettrica e malinconica che sembra emergere da qualche angolo nascosto della memoria collettiva, quella dove le emozioni si fanno paesaggio e i suoni diventano carezze ruvide, cicatrici luminose nella notte. Le loro sonorità roche e suadenti, al tempo stesso romantiche e rivelatrici, si muovono tra riverberi shoegaze e tensioni sotterranee, disegnando un immaginario sospeso, fragile e accattivante.
Questo EP è una creatura nervosa e sincera, che recupera la visione strumentale e onirica dei maestri — dai Sonic Youth ai My Bloody Valentine — non per rifugiarsi in un passato mitizzato, ma per utilizzarlo come una leva emotiva, come lo specchio rivelatore per indagare i labirinti di questo nostro presente arido e ossessivo. Ogni chitarra distorta, ogni eco malinconico, ogni feedback è un tentativo di scardinare i perversi e invisibili ingranaggi quotidiani, quelli che ci trascinano via senza chiedere il
permesso, che ci sedano con i loro rituali di produttività e di soddisfazione prefabbricata. I Green Star suonano come chi ha capito che la salvezza sta nel tornare a sentire il proprio subconscio, ad accettarne i guizzi, le ansie, i desideri disordinati. Perché è lì, sotto la pelle del rumore e delle parole non dette, che germogliano le emozioni più veritiere, quelle che non chiedono né giustificazioni, né indulgenze. È il caos a ricordarci che siamo vivi, che possiamo ancora provare a cambiare ciò che ci soffoca, a riconoscere chi davvero vibra nella stessa frequenza, a sbagliare, litigare, desiderare, scomparire e ricomparire, senza chiedere mai il permesso a nessuno.
I sei brani di “Bleeding Swirls” affondano le mani nelle giornate qualunque, nelle lotte minuscole e titaniche degli amori fragili, degli addii improvvisi, dei luoghi che cambiano fisionomia, mentre noi, distratti e stanchi, rincorriamo mete sterili e traguardi senza senso. Città e paesi si dissolvono sullo sfondo, fagocitati da obblighi e da ritmi che non ci appartengono, mentre la musica rimane l’unica traccia reale, l’unico linguaggio capace di dire quello che le parole non sanno più pronunciare. I Green Star sono il tentativo luminoso ed ostinato di prendersi il controllo dei propri sogni distorti, di lasciarli urlare o sussurrare attraverso il delay di una chitarra, di restituire alla nostalgia e alla rabbia il diritto di esistere, di essere bellezza difettosa e insostituibile. E in questo, trovano la loro voce, vulnerabile e potente, una voce che non chiede di essere compresa, ma solamente ascoltata fino in fondo.


























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