venerdì, Dicembre 5, 2025
Il Parco Paranoico

Francesca Paola Albanese: Ordine di rappresaglia n.14203

Gli Stati Uniti d’America, il Paese che ama definirsi faro di democrazia e libertà, hanno deciso di spegnere una voce scomoda. Francesca Paola Albanese, Relatrice Speciale dell’ONU sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, è finita nel mirino di Washington, che — evocando l’ordine esecutivo presidenziale 14203 — le ha imposto sanzioni personali, accusandola di antisemitismo, di sostegno al terrorismo e di aver mostrato un “aperto disprezzo” verso gli Stati Uniti, Israele e l’Occidente.

Sembra quasi una caricatura, una satira di cattivo gusto, se non fosse che è tutto tremendamente reale. Albanese viene trattata come una fuorilegge internazionale, come se nei sotterranei di qualche località segreta, magari della stessa Guantanamo, oppure di un campo di reclusione libico, russo, nord-coreano, siriano o afghano, fosse lei stessa a gestire prigioni clandestine, torturando, a proprio piacimento, poveri e indifesi cittadini americani ed israeliani, o peggio ancora — a detta di Rubio e compagnia — ordendo piani di persecuzione ai danni di onesti e innocenti occidentali. E tutto questo, a causa di una colpa ben precisa: aver fatto il proprio mestiere. Aver avuto il coraggio di raccontare, in un rapporto ufficiale, ciò che sta accadendo in Palestina, e che troppi preferiscono non vedere.

Perché in un mondo dove il potere non tollera dissenso e la realtà viene confezionata e distribuita da chi detiene il controllo del telecomando tecnologico e militare globale, una funzionaria dell’ONU che osa definire apartheid ciò che è proprio apartheid, che denuncia i crimini laddove essi vengono compiuti, e che non si piega ai dettami della diplomazia pelosa, diventa un bersaglio. E allora via con le accuse di antisemitismo, il marchio d’infamia buono per zittire chiunque osi alzare la voce e dire la verità, lo stesso cliché logoro con cui si è tentato di screditare centinaia di attivisti, di giornalisti, di studiosi, di professori e di studenti nel corso dei decenni.

Ma il vero scandalo, quello più sordido, è che ad infliggere questa sanzione non è una sperduta dittatura africana, né un regime autoritario asiatico. È la “prima democrazia del mondo”, una nazione armata fino ai denti, che, da decenni, semina guerre unilaterali, sostiene despoti amici e governa con una politica interna che tratta i poveri, i deboli, i marginalizzati e i precari come i nemici da imprigionare, da espellere e da annientare. È la stessa America che oggi punisce una funzionaria, sola contro il sistema, perché ha osato scrivere ciò che nessuno vuole leggere.

Questa vicenda ha un nome preciso, antico e universale: rappresaglia. È l’arte marcia di chi reprime, con la forza, la prepotenza, l’arroganza e la calunnia, le voci fuori dal coro, di chi punisce chi si ostina a guardare dove tutti hanno ricevuto l’ordine perentorio di distogliere lo sguardo. E tutto ciò è, ovviamente, in perfetta coerenza con il trumpismo più folle, pericoloso e revisionista, quello che continua a negare ogni evidenza: non c’è apartheid, nessun genocidio, nessuna pulizia etnica in atto. Solamente il diritto di Israele — e dei suoi alleati — di auto-difendersi. Anche contro i bambini, le donne o gli anziani in fila per ricevere un pasto.

A Trump e Netanyahu — come a molti altri — piace un mondo con un’unica verità, la loro. Un mondo senza domande, senza critiche, senza dissenso. Dove si può deportare, bombardare, incarcerare, chiudere bocche e cuori, e sanzionare chiunque osi mettere in discussione l’ordine pre-stabilito. Ma, per loro sfortuna, di voci fuori dal coro ne esistono ancora, e continueranno a esserci. Francesca Albanese non è sola, non è la prima e non sarà l’ultima. Perché il suo lavoro — e quello di chiunque creda ancora che i diritti umani siano un valore e non solamente una voce di bilancio — continuerà. Nelle aule delle istituzioni e nelle strade, nei tribunali internazionali e nelle pagine di una webzine, in una marcia di protesta o in un piccolo gesto quotidiano. Ovunque ci sia un’ingiustizia da denunciare, ovunque la verità venga distorta per comoda convenienza.

E possiamo esserne certi: di ordini esecutivi così ne verranno firmati altri. Ma nulla potrà impedire, a chi ha ancora coraggio, di dire che sì, a Gaza — e anche altrove — i diritti umani non vengono rispettati. E che chi li difende non è un criminale, ma un cittadino libero. A noi, dell’ordine di rappresaglia trumpiano numero 14203 non ce ne fotte assolutamente niente!

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About The Author

Michele Sanseverino è poeta, scrittore e ingegnere elettronico. Creatore della webzine di approfondimento musicale Paranoid Park (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine IndieForBunnies (www.indieforbunnies.com), intreccia analisi critica e sensibilità letteraria in uno sguardo che attraversa musica, poesia e cultura contemporanea. Nel 2025 ha pubblicato la raccolta di poesie "Poesie Senza Parole: Cartografie Di Un Lato Nascosto", opera che esplora le zone d’ombra e le risonanze interiori del vivere. Nel 2025 ha pubblicato l'antologia "Cronache Dal Parco Paranoico: Canzoni, Visioni e Futuri Mai Nati", articoli tratti dalla webzine Paranoid Park che ripercorrono il nostro cammino dalla fine della pandemia ad oggi. Inoltre: "Ultravioletto: Riedizione Fluida" e "Frammenti Di Tempesta: Riedizione Fluida"

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