Nel loro nuovo singolo e video, “I Valori della Crisi”, i Dish-Is-Nein non fanno semplicemente musica: intessono una cartografia morale del presente, tracciano le fratture di un Occidente che ha smarrito la bussola. Il valore — parola minuta e potente — diventa qui lente d’ingrandimento e scalpello: ciò che orienta i nostri comportamenti, ciò che dona senso alle nostre scelte, ma anche ciò che ci sta a cuore contro il giudizio altrui, radicato nella nostra storia personale e nelle ferite che portiamo.
Il brano esplora il valore in tutte le sue declinazioni: ideologico, personale, pratico, materialista. C’è il valore-idea che plasma visioni collettive; il valore-sentimento che governa i desideri più intimi; e il valore-oggetto, quello per cui si lotta, si ruba, si tradisce — persino si uccide. Questa triade è il terreno su cui si libra la canzone: il valore come voce della coscienza, come principio ispiratore, come obiettivo materiale. Senza quello le nostre vite si disfano — svaniscono in una crisi di significato.
Il video è una marcia funebre in digitale: macerie industriali, schegge di pubblico in rivolta, orizzonti oscuri e bellicosi, ingerenze artificiali. È un Occidente allargato — da Londra a New York, da Berlino a Parigi, con l’Italia che scivola ai margini — rappresentato come una civiltà in rapida involuzione. Un Occidente conformista che ha vinto il dopoguerra, ma che, adesso, si ritrova sconfitto dai propri spettri: capriccioso, sospettoso, paranoico, incapace di immaginare un futuro. I simboli che, una volta, tenevano salde le comunità — libertà, democrazia, tolleranza, legalità — appaiono qui come reliquie impolverate, slogan svuotati, oggetti di vetrina.
La traccia richiama, con un’eleganza plumbea, ovviamente, l’eco dei Disciplinatha: quegli inni alla Guerra Fredda, ai simboli laici che reggevano un mondo in perfetto equilibrio instabile. Ma se, allora, c’era un assedio che dava senso, oggi quell’assedio è frantumato e ha lasciato il posto a un mercato carnivoro di merci e di memorie scadenti. I Dish-Is-Nein sostituiscono la retorica delle divinità laiche con una celebrazione più oscura: la festa funebre di un’Europa masochista, pavida e ormai trasformata in un iper-mercato culturale senza gusto, né scopo.
Musicalmente il pezzo è una cesellatura post-industriale: ritmi che sembrano martelli pneumatici, riverberi metallici che amplificano il vuoto esistenziale, voci che oscillano tra denuncia e lamento. La produzione non cerca consolazione: abbraccia il buio come metodo per rianimare il senso. È una via tagliente — quella di “Occidente — A Funeral Party” — che rievoca la fine non come semplice tramonto, ma come rito necessario per capire ciò che si è perduto.
L’arguzia testuale è feroce: l’Occidente descritto nel brano è popolato da consumatori timorosi, manipolabili, resi ostili gli uni verso gli altri da un sistema che distribuisce benessere a singhiozzo. Il valore, inteso come risorsa, diventa moneta d’elezione; e la lotta per esso trasforma gli uomini in creature abiette, disposte alla nefandezza pur di assicurarsi la propria dose di felicità tossica. È la descrizione di un’era della dissoluzione — dissoluzione culturale, annientamento umano, disgregazione della vita collettiva — e i Dish-Is-Nein se ne fanno profeti sonori.
Eppure nella cupezza del quadro non manca una tensione estetica: il gruppo non si limita a denunciare, ma rimette in circolo immagini, sensazioni e simboli con una cura che è essa stessa forma di valore. La macchina musicale e visiva è costruita per scuotere — non per compiacere. Ogni strumento, ogni inquadratura, ogni parola è calibrata per restituire il senso di un’Europa che non riconosce più i propri miti. Questa canzone è una chiamata alla consapevolezza: non un manifesto nostalgico che vuole ripristinare un passato immaginario, ma un invito a misurare cosa resta di autentico nelle nostre vite e nelle nostre comunità. Chiede a gran voce di riconnettere il valore alla sua radice umana — personale, storica, morale — prima che rimanga solo uno slogan da scaffale.
“I Valori della Crisi” è, quindi, opera di redenzione e condanna insieme: redenzione perché riporta al centro la questione fondamentale del senso; condanna perché non risparmia la critica feroce a una civiltà che preferisce il simulacro al significato. È una canzone che stordisce e sveglia, che assedia e domanda: quali sono i nostri valori? E quanto siamo disposti a perderli — o a venderli — nel grande mercato della crisi?
Se i Dish-Is-Nein sono profeti sonori dell’era della dissoluzione, questo brano è il loro sermone più aggressivo: un’ode funebre che risuona come ammonimento. Per chi ascolta, resta l’urgenza di chiedersi che cosa, davvero, vale.


























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