Le ombre sono eternamente in attesa, nascoste dietro le cose più insignificanti e scontate, pronte a inghiottire completamente le nostre esistenze, a farci dimenticare i nostri sogni, a spingerci a trascurare noi stessi ed i nostri affetti più cari, a trasformarci in creature violente, meschine ed insensibili, perennemente arrabbiate ed impaurite. Ethel Cain da voce all’oscurità, la sua musica riesce a vedere oltre tutti i falsi ideali di successo e di bellezza che veneriamo su Internet; oltre tutte le cianfrusaglie iper-tecnologiche con cui tentiamo di riempire le nostre vite solitarie; oltre le maschere sorridenti, appagate e soddisfatte con le quali pensiamo di coprire – magari scordare – le nostre delusioni, i nostri insuccessi, le nostre frustrazioni ed il nostro dolore.
Le melodie della songwriter americana mescolano trame darkeggianti, gotiche e malinconiche con atmosfere sfocate di matrice dream-pop e shoegaze. Le sue parole esplorano i mondi cadenti e marginali, sia quelli che nascondiamo dentro di noi, che quelli che attraversiamo ogni giorno: province e periferie dell’impero neo-liberista; luoghi nelle quali le persone – soprattutto quelle più fragili – sono abbandonate a sé stesse, divenendo così la facile preda di mostri, dei quali, per quieto vivere o addirittura per convenienza, accettiamo l’esistenza. Armi, droga, sfruttamento, gang, omicidi e violenze; dolore che si aggiunge ad altro dolore e dal quale vorremmo solamente fuggire. In un certo senso questo album è l’occasione per farlo, per mettersi alle spalle un modo di vivere, di pensare, di rapportarsi agli altri che non fa altro che avvelenarci ed ammazzarci.
Le sei canzoni del disco rappresentano l’argine con il quale Ethel tenta di contenere il Male, di comprenderne l’inutilità, la banalità e l’assurdità, rielaborando le proprie tensioni ed esperienze personali più negative, per dare vita a qualcosa di nuovo, di vivo e di costruttivo da condividere con gli altri. La tristezza e la rabbia non possono diventare uno stile di vita. Esse sono solamente una soglia sottile; una soglia che, una volta varcata, conduce la chitarra e la fantasia dell’artista proveniente dalla Florida ad intraprendere un viaggio umano e sonoro nel quale nuovi stimoli, nuove percezioni, nuove idee – in un continuo ed osmotico scambio tra conscio ed inconscio, tra dentro e fuori, tra giorno e notte, tra passato e futuro – si trasformano nel corpo e nell’anima di “Inbred”, nelle sue sonorità cinematiche ed introspettive, in una narrazione che è intima ed allo stesso tempo universale.
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