La strada è quella della poesia oscura e minimale, mentre le armonie dell’organo e della chitarra rappresentano l’appiglio emotivo cui possiamo aggrapparci per sfuggire alla rabbia e alla frustrante monotonia delle abbaglianti prigioni virtuali nelle quali ci lasciamo rinchiudere, un po’ per paura di quello che potremmo trovare fuori ed un po’ perché preferiamo credere alle bugie secondo le quali, solo in questo modo, potremo essere davvero al sicuro, potremo essere davvero felici e potremo, quindi, garantire un futuro migliore a coloro che ci sono vicini.
Ed invece, come ci rammenta il vecchio organo, un assordante silenzio, pesante come un macigno, piomberà prima o poi sulle nostre esistenze, allontanando ogni ricordo piacevole e lasciandoci con un’unica devastante ed inquietante domanda, la quale continua ad echeggiare e vibrare nelle nostre menti e nei nostri cuori: come finisce? “How does it end?”
Ma, nonostante le tenebre che avvolgono il domani, cupe e fameliche, tanto simili quelle del perfido Tartaro, nonostante il dolore della perdita e il vuoto della solitudine, la musica ha un potere fortemente salvifico e terapeutico, essa può trasformare la sofferenza dell’abbandono in autentica bellezza e smuovere persino gli animi più ostili, selvaggi e brutali, come, appunto, è accaduto con Orfeo, il cui canto commosse addirittura le spregevoli e spietate Furie, permettendo ai suoi versi di riaprire le porte ormai sbarrate degli Inferi.
Emma Ruth Rundle, poetessa lirica moderna, utilizza ogni assillo, ogni sconvolgimento, ogni tormento, ogni cruda emozione proveniente dal suo animo afflitto, per rammentarci che, alla fine, ciò che conta è solamente ciò che amiamo, indipendentemente da quello che il potere, la ricchezza, il successo o la tecnologia possono garantirci.
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