Certo, fa effetto ascoltare un uomo, ormai anziano, recitare quei pochi, remoti versi e rammentare le sue imprese di gioventù, mentre il cuore di “Speak To Me” scandisce, con lenta e cupa consapevolezza, l’irreversibilità del nostro tempo e di tutte quelle occasioni e quelle opportunità che, a volte, ci lasciamo, stupidamente, sfuggire per assecondare scelte e decisioni che non sono affatto le nostre scelte e le nostre decisioni. E se queste imprese sono quelle di un uomo che è stato artefice della storia condivisa, umana e professionale, dei Pink Floyd, vale la pena – prima di azzardare qualsiasi giudizio – ascoltarle.
Un ultimo respiro, dunque? La fragile, fatale e umanamente tortuosa ammissione delle proprie debolezze materiali? Quella che un tempo fu una poesia e che, adesso, sbiadisce rapidamente, rischiando di essere divorata dalla banale ed invadente cacofonia mediatica dei tempi moderni? Il lato più piatto e più noioso delle nostre esistenze? I vaneggiamenti di un uomo eccessivo, ossessionato e consumato, alla fine, dai fantasmi con cui ha tentato di lottare per tutta una vita? L’illusoria profanazione di un monumento sonoro che resisterà a qualsiasi – per quanto profonda e dolosa – lesione dei nostri sogni e delle nostre emozioni? O la semplice, normale, scontata, amara ed inevitabile conclusione della narrazione e del viaggio?
Sì, è tutto vero, non potrebbe essere altrimenti.
Tutto vero, come lo sono gli accattivanti archi e le trame elaborate dei sintetizzatori, come l’unico profondo assolo di basso, come il dolore che causa la guerra – ogni fottuta, maledettissima guerra – o come la verbosità straripante di un lavoro che avrebbe meritato, molto probabilmente, di essere più scarno e leggero da questo punto di vista, senza cadere, continuamente, nei lugubri e spietati inferni che assillano e minacciano la vita di ciascuno di noi, soprattutto di coloro che non hanno la fortuna di nascere e di vivere in luoghi sicuri, ricchi e pacifici. Avrebbe suscitato più effetto, forse, citare un unico, spregevole inferno, l’inferno di “Money”, un inferno, assolutamente umano e terreno, che, da sempre, condiziona, manipola, ammazza, violenta, abbruttisce ed influisce, negativamente, sulle nostre scelte; sia sulle scelte dei leader politici, economici e religiosi, quanto sulle scelte delle persone comuni.
Un inferno al quale solo le creature aliene, le creature di fulgida, folle, generosa, splendente e barrettiana luminosità riescono a sfuggire.
Nessun confronto, dunque; più nessuna diatriba poetica, strumentale o musicale; più nessuno scontro tra uomini ed artisti che sono stati molto più della somma delle singole parti; più nessuna infamante accusa di faziosità, di intolleranza o di odio gratuito da parte di diffamatori insignificanti ed estranei alla trepidante vicenda umana di Pink e dei suoi muri di maniacale e drammatica incomunicabilità; più nessuna eclissi potrà trattenere, per sempre, la verità, la giustizia o la pace dal mondo degli uomini. Ma solo un’unica, romantica, preziosa ed inconfutabile certezza: “Dark Side Of The Moon”, una storia umana – intima e collettiva – a nome Pink Floyd, primo giorno di Marzo del 1973.
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