La band di Nottingham, UK è turbolenta e nervosa, capace di dare vita a un appassionante e incalzante miscuglio di sonorità punkeggianti, garage ed indie-rock, costruito su incisive melodie elettriche, una voce cruda, ironica, schietta e tagliente — in perfetto stile punk-rock — e su una sezione ritmica massiccia, battente e irrequieta, sempre sul punto di esplodere. I Cucamaras non si limitano a ripercorrere sentieri già battuti, ma guardano oltre la foschia e la nebbia angosciosa delle Midlands, oltre i riverberi di un passato fatto di fabbriche spente e di impegno politico ormai sbiadito, oltre i detriti industriali e sociali colpevolmente accumulati dalle generazioni precedenti, provando a riscrivere, a modo loro, un nuovo codice di appartenenza.
C’è nei loro brani un’urgenza genuina e una fame disperata di senso, come se attraverso ogni riff, ogni strofa rabbiosa, ogni ritornello abrasivo cercassero di recuperare un rapporto autentico e sanguigno con la propria musica, con i luoghi e i tempi a cui appartengono, con le persone che popolano quella quotidianità troppo spesso soffocata da un perbenismo di facciata e da una società tanto ipocrita, quanto asetticamente politically-correct. I Cucamaras si scagliano contro quella marea di frasi fatte, di slogan d’occasione e di indignazione a buon mercato che inquina i social e le piazze virtuali, scegliendo, piuttosto, di raccontare il disincanto, la rabbia e la malinconia attraverso il sudore e il rumore degli strumenti, con l’onestà brutale e sfrontata di chi non ha più nulla da perdere. E così, la loro musica diventa una questione di errori, di scelte sbagliate e di tentativi falliti, di partenze e di ritorni, di amicizie vissute fino all’ultimo respiro e di distacchi inevitabili. È qualcosa che ti costringe a rivalutare ciò che hai fatto, i luoghi in cui sei cresciuto, le persone che ti hanno accompagnato lungo la strada. Qualcosa che, paradossalmente, riesci davvero a quantificare, a valorizzare, a riconoscere e a comprendere soltanto nel momento in cui te ne distacchi, quando te la lasci definitivamente dietro alle spalle. Perché la cosa peggiore che può capitarci è pensare che tutto quello che abbiamo costruito, tutto quello che abbiamo imparato, tutto ciò che abbiamo avuto la fortuna di vivere, sia qualcosa di scontato, di ordinario, di banale, di ovvio.
Ma non esiste alcuna normalità nelle nostre esistenze e nelle nostre passioni. Esiste solo una traccia invisibile e rumorosa che attraversa i nostri giorni, fatta di misteri, di suoni, di scelte improvvise e di bellezza nascosta dietro il disordine quotidiano. E la musica, in questo, ha il potere straordinario di diventare bussola e rifugio, detonatore emotivo e confessionale collettivo. I Cucamaras ce lo ricordano a colpi di chitarre sferzanti e di testi senza fronzoli, trasformando il malessere in combustibile creativo e l’irrequietezza in vibrazioni elettriche.
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