Noiosi. Prevedibili. Tediosi.
Incapaci di leggere davvero il presente. Eppure… non è qualcosa che si insegna.
Si dice siano sciocchi, superficiali, impermeabili alla profondità. Ma, in fondo, chi si è mai preso davvero la briga di scavare abbastanza da scoprire cosa si nasconde sotto la crosta dei loro silenzi o sotto le dita nervose che scorrono sul vetro?
Abbiamo spento le vecchie ideologie come si spegne una candela che brucia troppo. Erano troppo intense, troppo ingombranti, troppo complesse, troppo pericolose. Abbiamo preferito cancellare le loro contraddizioni, i loro errori, le nostre battaglie interiori e i desideri collettivi, perché ci facevano paura. E, al loro posto, cos’è che abbiamo accettato? Una sola visione. Un’unica lingua. Un unico modello. Un pensiero morbido come la plastica, uniforme come la noia, tossico come il veleno.
Tutto è stato reso compatibile, comodo, bello, facile, efficiente e indolore. La felicità è diventata un dovere obbligatorio, la soddisfazione è una prestazione da misurare in visualizzazioni e consensi. E così, alle persone, non resta che scegliere tra un’assenza e una bugia, tra il vuoto e la menzogna. Rinchiusi in gabbie dorate, costruite con gli scarti del marketing motivazionale, si proteggono dietro i “frangiflutti del destino“, ovvero dietro dei frangiflutti prefabbricati di senso e di direzione: il benessere materiale, l’auto-realizzazione, una libertà che non disturbi troppo. Ma arriva sempre l’onda, l’onda più alta, l’onda più forte, l’onda che spezza ogni certezza simulata.
L’onda chiede una risposta.
E invece? Nessuna reazione. Solamente lo sguardo fisso sullo schermo dello smartphone, attendendo che un invisibile oracolo artificiale ci suggerisca il nuovo ordine emotivo. Là dove un tempo si scrivevano parole, si immaginavano incontri, si inventavano storie, si costruivano e alimentavano sogni e passioni, oggi, si scorrono reel. Al posto della carne e dello spirito, una condanna a girare in tondo. Dove c’era una fame di sentimenti, oggi, c’è, invece, una dieta dell’anima che sia, necessariamente, priva di dolore, di fallimento, di malattia, di decadimento, di morte, di dubbio.
E tutto quello che il mondo reale ci dice che non può essere “instagrammabile“, noi, allora, lo nascondiamo, lo ignoriamo, lo evitiamo sistematicamente. Lo chiudiamo dietro una oscura vetrina. Abbiamo, infatti, disimparato a scegliere. Anche il dolore. Scegliere di soffrire, di ammalarsi, di invecchiare, di cambiare. Di essere fragili e imperfetti. Di amare con rabbia, di perdere con grazia, di soffrire con dignità. Ma la società della realtà irreale ha abolito il rischio e, con esso, ogni espressione di autenticità. Abbiamo, perennemente, paura della fine, ma anche dell’inizio. E così restiamo fermi. Immobili. Inconsapevoli. Silenziosi.
Ma la musica, almeno, ancora respira. E allora – come un cerchio che si stringe, ma che può ancora aprirsi, come una crepa che lasci entrare la luce – scegliamo dieci canzoni. Non per nostalgia, ma per imparare ad iniziare, e per restituire al tempo la gioia di trascorrere, perché scegliere, crescere, sbagliare, non sono un reato, ma una preziosa scommessa contro il vuoto.
E le canzoni? Incominciamo con “Canzone contro i giovani” degli Skiantos, una cruda e affettuosa rilettura sonora del perenne conflitto generazionale; la band bolognese è l’antidoto naturale contro la disperazione e, dietro la sua ironia e i suoi testi demenziali, mostra la verità di una società senza futuro, che, da tempo, ha smesso di credere nei suoi figli. “Per me lo so“, dei CCCP, esprime, invece, una grande verità: la lotta più difficile e impegnativa è quella contro noi stessi, contro le nostre paure, contro le nostre vergogne, contro le nostre mancanze, contro i nostri errori.
Errori che “Hanno crocifisso Giovanni“, dei Marlene Kuntz, trasforma in poesia, in un simbolo di purezza in un mondo che non vuole più riconoscere il valore delle cadute, delle sconfitte e delle ferite. In “Nostra signora della dinamite“, Giorgio Canali & Rossofuoco intonano, quindi, la loro laica preghiera alle forze distruttici della natura, quelle che non obbediscono e che non si piegano, anche a costo di distruggere, inondare o bruciare ogni cosa, mentre “Salva gente“, frutto della collaborazione artistica tra Franco Battiato e i Marta Sui Tubi, ci suggerisce che l’unica possibile salvezza, in questo mistero, è la relazione con l’altro, soprattutto se viviamo, come ci illustra “Ti Vendi Bene” di Le Luci Della Centrale Elettrica, un’epoca in svendita totale, dove anche le emozioni e i sentimenti debbono avere un packaging adatto, altrimenti non valgono nulla.
Questa è la cronaca cruda di una generazione cinica che sa come promuoversi, ma che non sa più come esprimersi e farsi amare e che, quindi, come avviene in “Charlie fa surf” dei Baustelle, può cadere nella spirale dell’eccesso, tra ansie, psicofarmaci, droghe e finta trasgressione. E così si rimane fermi, incompleti, smarriti, proprio come il feroce e divertente “Fortunello” dei Tre Allegri Ragazzi Morti. E solo quando capiremo che questo è davvero il fondo, potremo provare a risalire; è questo il senso sofferto della canzone “Il testamento” di Appino, mentre la rabbiosa riscrittura di un classico di Rino Gaetano, da parte degli Afterhours, “Mio fratello è figlio unico“, ci fornisce, attraverso l’alienazione orgogliosa del figlio unico, il coraggio, la forza e la speranza necessarie per resistere ad un mondo che pretende di imporre uniformità e omologazione.


























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