Registrazioni dal vivo, catturate tra il 2003 e il 2009, da Londra a Buenos Aires, da Amsterdam a Dublino: tappe di un pellegrinaggio sonoro che mette al centro “Hail To The Thief”, l’album più grezzo e febbrile dei Radiohead. Un disco inquieto, politico, urgente, in cui le ombre del mondo – allora presagi, oggi carne e sangue – prendevano il sopravvento sulla pura sperimentazione. Quelle ombre, nel frattempo, hanno assunto volti concreti, minacciosi; sono diventate più reali, più crudeli, più spietate.
I “ladri” evocati dal titolo del disco non sono mai scomparsi, anzi si sono moltiplicati. A Trump, oggi, si affiancano Putin, Netanyahu, Xi Jinping, Erdoğan: leader arroganti e dispotici, che piegano il diritto internazionale alle proprie necessità predatorie, alla legge del più forte, all’ossessione di conquista e di controllo. Salutiamoli, allora, i tiranni del 2025, con queste canzoni che, pur nate più di quindici anni fa, suonano, oggi, con una forza ancora più profetica.
Il cuore pulsante resta “2 + 2 = 5”, manifesto imprescindibile che rammenta, semmai ce ne fosse ancora bisogno, lo stretto, disumano e contorto legame tra i media e il potere governativo: un patto che ci rende, sempre più spesso, complici, succubi, spettatori silenziosi dei tanti Ministeri della Verità che coprono soprusi, guerre sporche e massacri senza nome. Un muro di menzogne contro il quale generazioni intere si sono sacrificate, senza riuscire a demolirlo
davvero: ieri esso copriva l’invasione dell’Iraq, oggi giustifica l’orrore del genocidio palestinese, perpetrato da un governo israeliano sempre più feroce, sanguinario e abietto, che rimanda – in un corto-circuito storico quasi insostenibile – ai giorni più oscuri del Novecento, quando il Reich hitleriano usava la medesima violenza contro lo stesso popolo ebraico.
Eppure, in queste registrazioni dal vivo, vibra ancora un’energia palpabile: sentiamo la forza, la tensione e il desiderio di risvegliare emozioni autentiche. I Radiohead di quegli anni spingevano il pubblico ad aprire gli occhi, il cuore e la mente, nonché a resistere all’anestesia delle menzogne, alla superficialità come unica risposta. Era musica come atto politico, come catarsi collettiva, come invito alla lucidità.
Oggi il mondo sembra bruciare più di allora. Oggi i bambini muoiono ammazzati, di bombe o di fame, e la musica non basta più a salvarli. La band stessa non è più la stessa: l’urgenza si è fatta distanza, la protesta è un sussurro amaro, la catarsi è stata sostituita dall’analisi maniacale delle sfumature. Eppure, mai come adesso, servirebbe, invece, una voce netta, un grido che non lasci spazio ai “se” e ai “ma”, perché l’umanità non può più permettersi esitazioni.
Ascoltare, oggi, queste registrazioni significa specchiarsi in un futuro che era già stato intuito, ma che nessuno ha saputo fermare. Significa riconoscere la forza visionaria dei Radiohead, e insieme il fallimento di un mondo incapace di imparare dai suoi errori e dalla sua Storia. È un rito sonoro che ci restituisce la vertigine di ciò che potevamo cambiare e che non abbiamo voluto cambiare, un richiamo che ci obbliga a non smettere di guardare in faccia la verità, anche quando essa brucia, mette a disagio e fa male.


























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