lunedì, Ottobre 14, 2024
Il Parco Paranoico

Houses Of The Holy, Led Zeppelin [50 anni]

Nessuno, probabilmente, ha saputo dosare luci ed ombre, misticismo e magia, potenza e melodia, blues ed hard-rock, meglio dei Led Zeppelin. A metà degli anni Settanta, dopo album epici, “The Song Remains The Same” scivola, veloce, come una cometa in una notte tersa e pulita, verso un selvaggio intreccio di sonorità blueseggianti, funkeggianti e progressive-rock che costruiscono l’inno perfetto alle divinità pure ed ancestrali della Terra: al sole intenso e brillante della California, alla liberatoria ed amorevole pioggia di Calcutta e alle silenziose e consapevoli stelle di Honolulu.

Mentre, successivamente, “The Rain Song”, esalta ed evidenzia un’altra grande qualità della band inglese, ovvero quella di creare ballate profondamente appassionate, canzoni capaci di ridestare ricordi, sentimenti, dialoghi, sapori e percezioni che pensavamo si fossero perdute nelle stagioni trascorse, in estati che credevamo essere state dilaniate dal soffio gelido di inverni ed inverni di impegni, di compromessi, di regolamenti e di divieti che avrebbero dovuto spersonalizzarci e privarci della nostra vera essenza. Ed invece no, è stato sufficiente seguire le trame suggestive della chitarra acustica di Jimmy Page per ritrovare noi stessi, ciò che eravamo, ciò che avevamo, tutto ciò che ha il potere catartico di mostrarci il sogno nascosto nella grigia ed omologante realtà quotidiana.

Cosa troveremo, dunque, una volta varcata la fatidica collina? Molto più della speranza, molto più della fede, le ritmiche di John Bonham sono una preghiera sonora che risuona nel silenzio, disegnano, tanto nella nostra mente, quanto nei nostri cuori, quella narrazione emotiva che ci condurrà oltre il ponte fantastico di “The Crunge”, con la piena consapevolezza che il tempo dei sacrifici e delle rinunce è finito, possiamo, finalmente, riprendere il controllo delle nostre vite e cercare quei giorni della festa, quei giorni della danza, quei giorni della verità che Robert Plant, come un poeta-sciamano, evoca per sé stesso e per tutti noi.

Il mondo, infatti, ha sempre avuto bisogno d’amore, persino di quello adagiato negli arrangiamenti e nelle atmosfere più morbide ed invitanti di “D’yer Ma’ker”, quelle che richiamano una vitalità reggae, alla quale, però, i Led Zeppelin forniscono la propria personale e giocosa interpretazione musicale, prima che “No Quarter”, all’estremo opposto della scala cromatica, umana e narrativa, riporti la band in una dimensione più enigmatica e brutale, risvegliando le ombre ed i fantasmi che bramano solo morte e distruzione, creature ostili e diaboliche contro le quali scagliare la potenza magmatica di un gruppo che ha combattuto, strenuamente e continuamente, contro un destino avverso, assaporando il successo, ma anche la perdita, il dolore e l’abbandono e che, anche dopo la sua fine apparente, continua, imperterrito, a vivere, immolarsi e bruciare sull’altare dell’hard-rock più viscerale, ancestrale e passionale.  

Like this Article? Share it!

About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

Comments are closed.