venerdì, Maggio 3, 2024
Il Parco Paranoico

Dark Matter, Pearl Jam

Mik Brigante Sanseverino Aprile 21, 2024 Dischi Nessun commento su Dark Matter, Pearl Jam

Dopo trent’anni, undici album in studio, una quantità di concerti, di interviste, di festival, di video, di spunti, di singoli e di discussioni, è, senza alcun dubbio, arduo trovare altro da esplorare e, a volte, come è accaduto a molte celebri band del passato, si perde, addirittura, la lucidità necessaria a porsi le domande giuste, finendo, di conseguenza, per trasformarsi, inevitabilmente, in una buffa controfigura di sé stessi, della propria storia musicale ed umana e dei dischi più riusciti.

Nel caso di Pearl Jam l’ombra di Seattle, di quel suono leggendario, di quelle storie, spesso, così laceranti, dolorose ed auto-distruttive, era, davvero, troppo inquietante e troppo ingombrante da sopportare. La band ha saputo, buon per loro, oltre che per noi, lasciar perdere discorsi che sarebbero suonati troppo finti ed ipocriti. Continuare ad alimentare quel mito, infatti, sarebbe stato, semplicemente, ridicolo, avrebbero solamente alimentato e preso parte ad una farsa, dalla quale, invece, hanno saputo distaccarsi.

Nessuno di noi ha mai preteso che i Pearl Jam continuassero quella narrazione musicale che, per quanto mi riguarda, nel loro caso, ha esaurito il proprio percorso nel 1994, con l’album “Vitalogy”, dopo lo splendido “Vs” del 1993 e l’esordio “Ten” del 1991. Dopo quel trittico di dischi eccezionali c’è stata una band rock, sempre più nota, sempre più apprezzata, sempre più conosciuta e, purtroppo, sempre più inflazionata, che, come tutte le altre band rock del pianeta, ha prodotto buoni album, album del tutto normali e album davvero cattivi. 

“Dark Matter” non passerà alla storia, ma è un album onesto e sincero, sicuramente migliore rispetto ai suoi predecessori, è ispirato come possono esserlo cinque ricchi e famosi signori di sessant’anni. Le chitarre non possono, ovviamente, avere il taglio graffiante e malefico di un’epoca che, oramai, è trascorsa da un pezzo, ma non diventano mai solo un banale e ridondate esercizio tecnico. Anzi, esse riescono a trasmettere quella che è la loro vivida e peculiare sensibilità, rispetto a un’America e a un mondo che, sempre più frequentemente, di queste domande e di queste emozioni se ne fotte altamente. Intanto Eddie Vedder intesse le sue immagini di tunnel oscuri, di perfide intelligenze artificiali e di scelte rivelatesi sbagliate su quella che è una tela di energico e robusto rock, con sfumature sia folkeggianti, che blueseggianti, intrise di quel decennio straordinario che furono gli anni Novanta, ma desiderose e consapevoli, allo stesso tempo, di doversi confrontare con il nostro presente, con le nostre città, con le nostre nazioni, con le nostre idee di politica, di democrazia, di pace o di sicurezza e, soprattutto, con quelle che sono le strategie che adottiamo per affrontare le innumerevoli crisi del nostro mondo.

Ma il dubbio più atroce, a volte, osservando ed ascoltando la loro passione, è quello che ci porta a dubitare dell’esistenza di una vera e propria strategia, come se ogni azione, ogni evento o ogni passo non fossero altro che il frutto, oscuro e malato, tossico e distruttivo, violento e irrazionale, del Caos. 

Like this Article? Share it!

About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

Comments are closed.