Nel 2024, nell’album “The Collective”, l’ultimo lavoro di Kim Gordon, c’era un brano intitolato “Bye Bye”. Un pezzo costruito come una lista, una raccolta di oggetti, di desideri, di piccole urgenze per un ipotetico viaggio. Era la sua valigia ideale, un elenco di cose da portare via con sé o da lasciare indietro, mentre il mondo continuava a correre sull’orlo del disastro. Oggi, a distanza di un anno, Kim ha deciso di modificare quella lista, perché il mondo, nel frattempo, è cambiato ancora. Ed in peggio.
In uno scenario in cui la guerra è tornata a bussare ovunque, in cui il filo spinato si rialza ed i muri ritornano a segnare le mappe, il concetto stesso di viaggio inizia a mutare forma, a perdere il suo senso più profondo di libertà, di benessere, di crescita spirituale. Infatti, mentre i privilegiati restano chiusi nelle loro fortezze dorate, milioni di esseri umani, stretti nella morsa quotidiana della morte, della devastazione, della povertà e del dolore, tentano — giustamente — di fuggire, di cercare altrove un futuro appena più umano e sostenibile. Ma viaggiare, muoversi, sconfinare è diventato pericoloso e, spesso, impossibile. E così, quella vecchia lista di Kim, fatta di parole libere e di oggetti comuni, oggi, diventa un catalogo di assenze, di divieti, di termini proibiti.
Kim Gordon rielabora, quindi, il suo elenco, scegliendo parole, termini, concetti ed idee che l’America di Trump — e la sua lunga, tossica, moribonda coda di veleno — ha, sistematicamente, cancellato dal lessico e dal futuro di tutti noi. Un oscurantismo fatto di ignoranza strategica, di revisionismo violento, di censura semantica. Parole che, un tempo, pronunciavamo senza esitazione — “donna”, “utero”, “salute mentale”, “cambiamento climatico”, “ispanico” — oggi suonano come bestemmie, in un nuovo, terribile vocabolario imposto dal potere costituito. E il nemico non è più solamente il diverso, il povero, il migrante, ma anche il significato stesso delle parole.
Il più grande talento di questo presidente è stato l’ignoranza: non quella ingenua, ma quella deliberata, spietata, brandita come un’arma politica. Ignorare la scienza, ignorare la storia, ignorare la medicina, ignorare la verità, ignorare la propria stessa incompetenza. E, nel frattempo, costruire una realtà parallela, un universo fittizio dove anche la parola “pace” diventa sovversiva, dove la parola “tolleranza” è una minaccia, dove i termini vengono espunti dal dizionario collettivo con la stessa precisione con cui si eliminano gli oppositori.
Non è soltanto una faccenda americana, perché anche l’Europa ed anche l’Italia hanno iniziato ad importare quei meccanismi di censura, di intolleranza e di odio, quell’estetica dell’ignoranza elevata a sistema di governo e di potere. E mentre i governi europei si piegano, docilmente, alle folli, disumane e reazionarie politiche statunitensi, anche quando queste li umiliano nella propria storia, nella propria cultura, nei propri interessi più vitali, il vocabolario si svuota, la memoria si accorcia ed il pensiero si restringe.
Ecco allora che il video di “Bye Bye 25” non è più solamente un elenco di parole, ma diviene un monito, una dichiarazione di conoscenza e di speranza. Perché, mentre questi folli continuano ad inventare altre guerre per coprire le proprie colpe, a creare altri nemici per nascondere le proprie inefficienze, a costruire altri nuovi fronti per evitare di affrontare le catastrofi già in atto, noi rischiamo di perdere non soltanto il diritto di viaggiare, muoverci e conoscere, ma anche quello di nominare ciò che siamo. E la censura più terribile è proprio questa: farci dimenticare le parole che servono a chiamare le cose con il loro vero nome.
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