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Il Parco Paranoico

Robert Moog, l’ingegnere del rock

Mik Brigante Sanseverino Maggio 23, 2019 Parole Nessun commento su Robert Moog, l’ingegnere del rock

Sono davvero felice di poter scrivere un articolo su un ingegnere elettronico: Robert Moog.

Il suo nome è, oggi, identificato con il celebre sintetizzatore a tastiera che inventò nel 1963. Uno strumento elettronico che, ben presto, sarebbe diventato imprescindibile per diversi artisti e diverse band, nel corso della storia: basti pensare ai Kraftwerk o a Brian Eno, agli Yes o David Bowie, ad esempio.

E pensare che all’inizio, come dichiarò lo stesso ingegner Moog, l’idea era quella di offrire un nuovo strumento ai compositori più sperimentali. Il mercato di riferimento era, quindi, notevolmente ridotto; si trattava di una piccola nicchia, ma fu immediatamente chiaro ed evidente che quello strumento sarebbe riuscito a rivoluzionare anche il mondo del rock. Uno dei primissimi artisti ad utilizzarlo in pubblico, grazie alle innovazioni introdotte dall’ingegner Moog (dimensioni più ridotte, portabilità, utilizzo tramite una normale tastiera musicale), fu Keith Emerson, assieme ai suoi compagni di viaggio Greg Lake e Carl Palmer. Fino ad allora pensare di utilizzare strumenti elettronici durante uno spettacolo dal vivo, era paragonabile a dover tirare faticosamente un pesante carro, con Moog divenne semplice ed intuitivo come guidare un’auto.

Già alla fine del 1967, i Doors chiesero di utilizzare il moog nelle registrazioni del celebre album “Strange Days”, dove fu utilizzato per modificare la voce di Jim Morrison. Un album in cui la band californiana decise di puntare su atmosfere più crude ed oscure, che riuscissero a toccare con mano questioni quali la morte e la diversità, in cui un utilizzo, seppur ancora primordiale del moog, contribuì a dare un senso di alienazione e paranoia alle parole cantate da Jim Morrison nell’omonimo brano che dà il titolo al disco.

Poi venne poi il turno di Rolling Stones e di Beatles, ma è innegabile anche il fondamentale contributo del synth al mondo del colonne sonore, a partire da quella di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange) di Stanley Kubrick.

Negli anni Settanta i sintetizzatori analogici modulari presero il volo, basti citare la terza traccia di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, “On The Run”, un brano che Richard Wright eseguì con un sintetizzatore EMS e grazie al quale riuscì a dare, in maniera ottimale, il senso della paura e della tensione del viaggio, il dover affrontare qualcosa di misterioso e potenzialmente pericoloso che potrebbe condurci, addirittura, alla morte.

Il moog conobbe un breve appannamento con l’esplosione del punk. I punk, ribellandosi alla crescente complessità del rock degli anni Settanta, si opponevano e rifiutavano quelle noiose band piene di sintetizzatori. Ma ciò durò poco perché negli anni Ottanta il moog si ripropose con forza, fu un vero e proprio trionfo, favorito anche da un utilizzo più audace e sperimentale in diversi ambiti musicali: basti pensare alla ricercatezza degli Ultravox, alle produzioni disco di Giorgio Moroder, alle suadenti atmosfere dark, ambient e new wave, fino ad arrivare alla commistione di generi e sonorità, di hardware e software, di elettronica ed informatica, di cuore e di ragione che caratterizza i nostri giorni.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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