lunedì, Dicembre 9, 2024
Il Parco Paranoico

Il Coraggio Di Essere Fuori Portata e la Guerra In TV

Il 17 Gennaio del 1991 – a diciotto ore da un ultimatum dell’O.N.U. che intimava di liberare immediatamente il Kuwait – una coalizione alleata, capeggiata dagli Stati Uniti d’America, faceva piovere una tempesta di bombe e di missili sull’Iraq. È così che iniziò “Desert Storm”, la prima guerra televisiva dell’era moderna, mentre i media mondiali, compresi quelli italiani – da sempre inclini ad una certa retorica a buon mercato – si gettavano a capo fitto, con i loro collegamenti in diretta, le loro lunghe maratone, le loro edizioni straordinarie, i loro approfondimenti e gli immancabili e spesso detestabili talk-show, in quello che era, purtroppo, un nuovo, promettente, assurdo spettacolo mediatico.

Da quel lontano 1991, nuovi media si sono imposti, sfruttando tutte le soluzioni e i vantaggi offerti dal progresso scientifico e tecnologico. Ed oggi, infatti, ai vecchi giornali e alla vecchia TV si è affiancata la rete globale delle informazioni, sfruttando la quale, chiunque può condividere e rendere accessibili le proprie esperienze dirette o le proprie opinioni, trasformandosi, a volte, in un mero strumento di propaganda o, ancor peggio, asservendo teorie, idee, sentimenti e comportamenti che non fanno altro che amplificare a dismisura l’odio, la follia e la violenza, riproponendo quegli schemi e quei modelli politici sovranisti, nazionalisti e populisti che, a loro volta, si rifanno, chiaramente, alle peggiori ideologie razziali di stampo nazista e fascista del secolo scorso.

Intanto da quei primi bombardamenti in diretta televisiva di Baghdad, Bassora e delle altre città irachene, ne abbiamo fatta, disgraziatamente, di strada. Diverse sono, ormai, le guerre mediatiche che hanno fatto irruzione nei nostri comodi salotti: Siria, Afghanistan, Yemen, Somalia, Palestina, Libia, Serbia, oltre il già citato Iraq.

In cosa quelle immagini differivano da quelle che stiamo vedendo in questi giorni riferite alla tremenda e disumana invasione dell’Ucraina, uno stato sovrano ed europeo, da parte dell’esercito russo?

Per la prima volta, rispetto alle guerre citate prima, l’Occidente non attacca, ma si ritiene attaccato; per la prima volta, l’Occidente non si sente, indiscutibilmente, più forte e certo, alla fine, di avere la meglio su quello che ritiene essere il proprio nemico; per la prima volta l’Occidente e la sua formidabile macchina informativa è costretto ad occuparsi, così da vicino e così direttamente, delle vittime civili e delle loro sofferenze. Finora, infatti, era sempre stato nostro il ruolo di coloro che attaccavano, con bombe e missili, per costringere l’altra parte ad accettare le proprie condizioni, i propri ultimatum, i propri principi democratici, le proprie indiscutibili verità.

Adesso che non possiamo avere il controllo totale dei cieli; adesso che non possiamo bombardare ed affidarci alle nostre armi intelligenti; adesso che abbiamo paura di intervenire a causa di possibili ritorsioni nucleari; adesso che ci sentiamo, giustamente, più solidali con la parte invasa ed offesa; adesso che tutto ciò ci ha aperto gli occhi e fatto comprendere quanto siano feroci e atroci tutte le guerre, i nostri media direzionano, finalmente, la propria ampollosa magniloquenza verso le persone più fragili, verso quelle più deboli ed indifese, verso i bambini, verso gli ospedali pediatrici sventrati e verso le innumerevoli ingiustizie e mostruosità che una guerra, da sempre, comporta.

Abbiamo scoperto cosa significhi trovarsi dalla parte più debole; stiamo toccando con mano, a distanza di anni, come dovessero essere la paura, l’ansia, lo sconforto e lo stato d’animo di un qualsiasi civile iracheno, afghano, serbo o siriano costretto a convivere, quotidianamente, con le bombe ed i missili inviati loro dagli americani e dalle altre opulente democrazie occidentali. Certo, avremmo dovuto capirlo da subito, ogni guerra è un’azione criminale. Nessuna vittima può essere meno importante delle altre, la dignità di un ucraino vale quella di un serbo, di un afghano, di un siriano o di un iracheno. Il dolore degli altri, come ci avrebbe ricordato Fabrizio De André, non può e non deve mai essere un dolore a metà.

Che fare, dunque, adesso, rispetto questa ennesima spirale di morti e distruzione che sta sconvolgendo l’Europa?

È evidente che ci sono forze in campo che si stanno, rispettivamente, misurando; esse non guardano solamente all’Ucraina, ma al mondo intero. Da un lato ci sono quelli che, al momento, appaiono come i grandi assenti, all’ombra degli stati europei, e cioè gli Stati Uniti d’America, i quali stanno saggiando e misurando l’organizzazione e la consistenza dell’esercito russo, oltre che la capacità del despota Putin di mantenere il suo potere in un clima di evidente malcontento interno e di difficoltà e tensioni sociali ed economiche. Dall’altro lato c’è, ovviamente, la Russia, imbruttita e resa arrogante dalla irrazionale e arrendevole fuga americana da Kabul, che tenta di fare il colpaccio e mettere il mondo dinanzi al fatto compiuto, ovvero non annettere solamente Donetsk, Lugansk e la Crimea, ma ridurre l’Ucraina in un proprio impotente stato vassallo, sfruttando, a proprio vantaggio nei confronti dell’opinione pubblica interna, quella politica poco lungimirante che la N.A.T.O. persegue da decenni, in barba a tutti gli studi, le relazioni e le analisi dei suoi stessi esperti militari e politici, continuando ad avere una politica aggressiva e bellicosa nei confronti della Russia, come se il muro di Berlino non fosse mai caduto ed esistessero, ancora, come durante la guerra fredda, due blocchi fortemente ideologici e contrapposti tra loro.

L’Ucraina è diventata il giardino atomico dei Bad Religion, quello nel quale questi manigoldi guerrafondai, degni delle pagine più oscure di “The Wall” e “The Final Cut”, misurano la propria determinazione, la propria autorità e la propria arroganza.

Che strada prendere, dunque? Quella di armare l’esercito ucraino, alla lunga, non potrà mai essere la strada vincente; l’Occidente può essere ipocrita, ma non è stupido; è chiaro che non sta armando gli ucraini affinché loro possano vincere, concretamente, questa infame guerra. Non lo fa perché, altrimenti, andremmo, direttamente, verso un conflitto nucleare che nessuna delle parti in causa vuole causare. L’Ucraina sta ricevendo armi e tecnologie atte a sfiancare la Russia, in maniera tale da resistere il più a lungo possibile e verificare, contemporaneamente, per conto dell’America e della N.A.T.O., quale sia il grado di fedeltà, di sopportazione, di determinazione e di fiducia dell’esercito e del popolo russo nei confronti del suo folle e violento leader. Tutto ciò, purtroppo, non farà che rendere questa guerra ancora più brutale, più becera e più cattiva, causando ingenti perdite umane. Spesso, a tal riguardo, ascoltiamo teorie secondo cui anche i nostri partigiani, durante la II Guerra Mondiale, ricevettero le armi per potersi difendere dai nazi-fascisti. Certo, è vero, ma la situazione allora era profondamente diversa: i partigiani, quella guerra, potevano vincerla; facevano parte di una più larga e coordinata coalizione internazionale che vedeva gli alleati contrastare e combattere l’esercito tedesco in cielo, per terra e per mare. Oggi tutto ciò significherebbe un olocausto nucleare.

Del resto, anche gli effimeri colloqui di pace, ai quali stiamo assistendo in questi giorni, sono del tutto inutili; è una vera e propria farsa politica, con mediatori diretti ed indiretti – quali la Turchia, Israele o la Cina – che, per motivi diversi, sono tutti totalmente inadeguati a rivestire questo fondamentale ruolo di paciere.

L’unica strada possibile, comunque, resta questa, quella della trattativa di pace e del dialogo, ma affinché essa possa portare a risultati concreti e duraturi nel tempo, è indispensabile che le due vere controparti si siedano entrambe, seriamente, al medesimo tavolo. Mi riferisco al governo russo e a quello americano. Solo così le armi potranno davvero tacere, solo così sarà possibile assistere il popolo ucraino, alleviare le sue sofferenze, ricostruire il paese e garantire un futuro che non sia fatto solamente di odio e morte. È in questa direzione che debbono essere intensificate le pressioni politiche, economiche e sociali, ossia favorire un colloquio di pace reale che normalizzi i rapporti, disinneschi le violenze e allontani la minaccia nucleare, garantendo la necessaria autonomia all’Ucraina e ridimensionando, contemporaneamente, le mire espansioniste della N.A.T.O. in quel paese, in modo tale che Putin, che tutti ci auguriamo possa esser rovesciato quanto prima possibile, non abbia più alcun pretesto ipocrita con cui giustificare quella che resta e resterà, per sempre, una vile, ignobile, sbagliata e criminale aggressione.

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About The Author

Michele Sanseverino, poeta, scrittore ed ingegnere elettronico. Ha pubblicato la raccolta di favole del tempo andato "Ummagumma" e diverse raccolte di poesie, tra le quali le raccolte virtuali, condivise e liberamente accessibili "Per Dopo la Tempesta" e "Frammenti di Tempesta". Ideatore della webzine di approfondimento musicale "Paranoid Park" (www.paranoidpark.it) e collaboratore della webzine musicale "IndieForBunnies" (www.indieforbunnies.com).

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