La decima edizione del Disorder Festival è andata in scena dal 2 al 5 Giugno, nel suggestivo scenario del mare di Paestum, laddove le bellezze e le narrazioni di una terra antica ci ricordano quella che è la natura cosmopolita dell’essere umano; un concetto astratto, ma anche un aspetto fondamentale delle nostre esistenze, un aspetto che è necessario sottolineare, soprattutto oggi, in tempi che sono sconvolti da guerre inutili, folli e criminali, combattute, spesso, nel nome della patria, della sicurezza e addirittura della pace.
Ma, ovviamente, non sono altro che parole vuote, delle vere e proprie menzogne finalizzate solamente a nascondere l’arroganza, la prepotenza, il desiderio di sopraffazione e la brama di potere e di ricchezze che, da sempre, purtroppo, contraddistinguono il lato più abietto, meschino e bestiale dell’umanità.
Dunque, su quel litorale che vide approdare i Greci, assieme al loro prezioso e inestimabile carico di arte, filosofia e cultura, si ritorna, finalmente, ad “AMARE”. Questo, infatti, è stato il tema di questa decima edizione del festival campano: un filo che emerge dal mare e unisce i popoli, andando oltre quegli effimeri ideali patriottici che, sempre più spesso, si riducono ad essere il modo col quale nascondere, alle persone comuni, i peggiori nazionalismi e sovranismi.
Quando, infatti, Socrate affermava di non essere un semplice ateniese, ma di essere un cittadino del mondo, andava esattamente nella direzione del nostro festival, sposando quell’unità d’intenti e quell’amore universale che sono strangolati ed oppressi da coloro che continuano a trincerarsi nella loro gretta e rabbiosa mentalità da tribù che individua il proprio minuscolo mondo come l’unico mondo possibile e considera tutto ciò che non comprende o che non conosce come una minaccia da combattere.
I potenti utilizzano grandi ideali, come quello della patria, della sicurezza o della pace, ogni qualvolta si accingono a distruggere ed uccidere, trasformando il diritto alla propria difesa in un ottimo motivo per assalire ed attaccare, giustificando così la morte violenta di persone innocue ed indifese, semplicemente nel nome di confini, di barriere, di limiti che sono assolutamente innaturali.
Il Disorder ci ha offerto, con la sua line-up eterogenea, la possibilità di approcciare le crisi e le ferite che sconvolgono la Terra da angolazioni diverse, così da arrivare a soluzioni inedite e controcorrente, perché questo è ciò che deve fare l’arte e in particolare la musica: superare il pensiero verticale e mostrare tutti i possibili orizzonti a nostra disposizione.
Orizzonti che hanno visto materializzarsi il minimalismo post-rock e psichedelico dei June Of 44; il miscuglio di electro-jazz e suggestioni folk-rock, di matrice globale, dei C’mon Tigre; le divagazioni post-punk e noise rock dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger!; il luminoso e vibrante fuoco di emotività e suggestioni indie-rock dei Penelope Isles; la combinazione di afro-roots ed elettronica proposta da Islandman; l’innovativa rilettura della word music suonata da Al Doum and The Faryds; il post-rock dalle forti influenze jazz dei Cazale; i beat fluidi, sperimentali e visionari di Daykoda; l’esplosivo richiamo al dance-floor proposto dagli Elektro Guzzi. Diversi orizzonti che ci permettono di riacquistare il nostro senso critico e comprendere come, al di là dei tanti miti virtuali, la macchina del consumo sta, letteralmente, distruggendo quella visione più pura, più vera e più giusta del mondo. Ciò che Pasolini chiamava “genocidio culturale” è in corso da decenni, ovvero la sistematica cancellazione di una cultura eroica, primordiale, sacrale e collettiva, una cultura traboccante di misticismo, coraggio ed onestà, che eventi, come il Disorder Fest, possono, invece, difendere, riproporre ed attualizzare.
Superamento di confini, dunque; ad iniziare da quelli musicali, andando a cercare la più ampia commistione tra i diversi generi, in modo tale da assumere la diversità come un valore unico ed inestimabile. Diversità che è moltitudine; moltitudine che è forza; forza necessaria a donare, a questo nostro piccolo pianeta, un’altra trama musicale, un’altra trama politica, un’altra trama sociale, un’altra trama economica e soprattutto un’altra trama umana.
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