Un brano graffiante, come il taglio improvviso nell’aria quieta di una serata qualsiasi. Un crollo repentino, una perdita assoluta, un inevitabile — e forse salvifico — reset esistenziale e spirituale. È la colonna sonora di una guerra silenziosa, quella che combattiamo, ogni giorno, tutti i giorni, contro una quotidianità che ci allontana da noi stessi, che ci spoglia lentamente di empatia, di ascolto e di stupore, facendoci diventare estranei al mondo ed alieni alla nostra stessa umanità. Viviamo, infatti, immersi in una realtà che non si arresta nemmeno di fronte alla morte di creature innocenti, che non si ferma, che non si interroga, che non dubita mai di sé stessa e dei suoi modelli sociali, politici ed economici. E se neanche il sangue, le macerie, la distruzione ed il dolore riescono più a scuoterci, come potrebbero farlo, allora, un’idea, un ricordo, un’intuizione, un suono?
Eppure, è proprio là — tra le ombre del nostro intimo — che qualcosa ancora pulsa. Laddove l’oscurità non è soltanto assenza, ma diventa pace, pensiero, sentimento, voce e vibrazione, laddove le immagini fluide e le luci malinconiche di un video musicale si fanno pura e sincera poesia.
Il video che accompagna “Jasmine” ha la sua vibrante dimensione verticale, è uno spazio onirico in cui possiamo perderci senza paura di sbagliare ed essere, di conseguenza, giudicati. La camera vaga tra parchi silenziosi, tra rami scossi da un vento gentile e distese di erba violacea, dove il colore diventa più di un colore: è una carezza visiva, è una vertigine dolce, è la memoria shoegaze sepolta che riaffiora, finalmente, in superficie. I contorni, i cambiamenti di prospettiva ed i movimenti lenti ed ipnotici sembrano volerci strappare dalla tirannia del presente e riconsegnarci a qualcosa di essenziale, di antico, di vero, di nostro.
La natura in questo contesto non è solamente uno scenario, ma un personaggio vivo e vigile. Ci abbraccia, ci stupisce, si prende cura di noi, senza giudicarci, senza pretendere nulla in cambio. Come scriveva William Wordsworth, “la Natura non tradisce mai il cuore che l’ama”. E proprio in questi luoghi gentili, che sembrano fluttuare tra il sogno e la realtà, ci viene rammentato tutto ciò che abbiamo smarrito lungo il cammino, ovvero la capacità di meravigliarci, di fermarci e di restare in ascolto. Di assaporare la nostra gioia.
Il video diventa allora una sorta di balsamo, una pausa sospesa in cui riscoprire che c’è ancora spazio per la fragilità e per la bellezza. La malinconia non è più solamente dolore, ma una forma sottile di resistenza emotiva, sensoriale e percettiva. Ogni riflesso violaceo, ogni sfocatura ed ogni suono dilatato suggeriscono che la via di fuga è già lì, appena oltre lo schermo. È un invito sommesso a smettere di essere macchine stanche e tornare, finalmente, esseri umani.


























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