C’è nostalgia per quell’eleganza che ha contraddistinto gli anni Settanta, per quel mondo così diverso, senza le onnipresenti piattaforme virtuali che immortalano ogni passo falso, ogni piega della pelle, ogni attimo di rabbia, di dubbio, di sconforto o di fragilità.
Jane, oh Jane, ne rappresentava l’essenza e il calore più genuino, l’inconfondibile sapore dei vecchi cinema d’essai, la poesia utilizzata come uno strumento di lotta politica, le claustrofobiche e distorte divagazioni del noise-rock, le appassionate, esplicite e morbide illusioni glam-rock, le misteriose nicchie bohémien nascoste nel cuore palpitante delle metropoli europee, divise tra loro da quella assurda e insensata cortina di ferro.
Ed intanto la sua voce inconfondibile oltrepassava gli amari silenzi nei quali sprofondano, spesso, le nostre relazioni; spazzava via i taglienti frammenti di vetro che ci feriscono, ci illudono, ci rammentano i nostri errori, i momenti nei quali abbiamo urlato, colpito, afferrato, sbagliato, azzannato e quelli nei quali, invece, abbiamo, semplicemente, perdonato.
Ne è valsa la pena? Forse sì, forse era solo una luce artificiale, come quella che attrae le falene, la voglia di sentirsi leggeri, di essere attratti, di ondeggiare, ritmicamente, seguendo le trame di una fulgente e sensuale narrazione pop, romantica e vibrante, più forte di qualsiasi bruttura della storia, di qualsiasi guerra, di qualsiasi ingiusta occupazione, di qualsiasi rigurgito di imperialismo fascista o nazista travestito da un nuovo modello di democrazia, di benessere, di sicurezza, di stabilità globale.
E oggi, che Lei non c’è più, ci sentiamo più soli.
Comments are closed.