Se qualcuno di voi ha qualche anno in più, sa benissimo di cosa stiamo parlando, di quel piccolo atto di ribellione che entrava perfettamente in un cassetta da 60 minuti, due lati da 30 minuti ciascuno, nella quale prendevano forma concreta i nostri gusti musicali, magari in modo tale da smarcarsi da qualcuno o qualcosa verso cui provavamo il massimo disprezzo ed affermare, di conseguenza, la nostra specifica identità.
Una sorta di inno nazionale a proprio uso e consumo, insomma, nel quale persone affini potevano riconoscersi, creando così legami e rapporti d’amicizia, oltre che un’ottima occasione per impiegare il proprio tempo, sottraendolo alla noia pomeridiana o ad attività non particolarmente stimolanti.
Oggi, nell’epoca di internet, quelle piccole cassette di plastica, che venivano continuamente scritte e riscritte, non hanno più senso, anche perché esiste la loro controparte virtuale, ossia la celebre playlist. Basta connettersi a Spotify o altre piattaforme simili e trovare ogni tipo di playlist, per ogni particolare momento della giornata, per ogni occasione, per ogni stato d’animo, in base a qualsiasi gusto musicale, a qualsiasi epoca, a qualsiasi luogo geografico, a qualsiasi ideale, a qualsiasi cosa, insomma, ci passi per la testa in quel preciso momento.
Non è la stessa cosa, obietterete, ed in effetti è così perché in questo modo, lasciando fare ad algoritmi che “pensano” al nostro posto, siamo, ancor di più, grasse vacche da mungere, alle quali un programma propone cosa scegliere in base a quelle che sono state le proprie ricerche e scelte passate, ma anche e soprattutto in base a ciò che conviene proporre al mercato in questo specifico istante.
La situazione, purtroppo, è questa, volenti o nolenti; nel momento in cui accediamo a questo mondo artificiale, siamo dei consumatori ai quali vengono proposti dei “prodotti” musicali, che tengono conto di quella che è la convenienza dei vari venditori. Di questo dobbiamo essere consapevoli, ciò che possiamo fare è semplicemente scavare nei meandri di questi enormi spazi virtuali, alla ricerca di qualcosa che può suscitare il nostro interesse, indipendentemente da ciò che dicono i vari algoritmi e da ciò che piace alle major discografiche, al mercato, agli influencer, al pubblico generalista, alle radio e ai talent show, consci, però, del fatto che qualsiasi artista o band troveremo nei substrati di Spotify et similia è stata costretta, per essere lì e poter essere trovata, ad un compromesso tra costi e ricavi, ad una sorta di ipoteca sui propri sogni e sul proprio futuro.
Ma anche in questo luogo malvagio possiamo trovare un nostro modo per essere felici. Il nostro minuscolo “yang”, oggi, noi l’abbiamo trovato in queste due raccolte, 20 + 20 canzoni, di band – rigorosamente italiane – che ci piacciono, checché ne dicano le righe di codice degli algoritmi di ricerca. Canzoni buone per un mondo cattivo, dunque; eccovi le nostre due playlist: le temibili e spietate “Vol.I – Il Dottor Inferno” e “Vol.II – Il Generale Nero“.
Buon ascolto!
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