Una ristampa necessaria e, al tempo stesso, sorprendentemente innovativa, che non si limita a riproporre il disco originario, ma ne amplia i confini e ne dilata l’impatto, rilanciando la visione ipnotica e allucinata di due tra le più significative band del rock psichedelico contemporaneo: gli americani White Hills e i britannici Gnod. Due realtà che, pur muovendosi su coordinate affini, esplorano l’universo sonoro da prospettive complementari e profondamente affascinanti. Infatti, se i White Hills inseguono le profondità abissali dello spazio cosmico, tra nebulose sonore e vortici di feedback, dove lo space-rock incontra la visionarietà kraut-rock e le derive più oscure e dilatate, gli Gnod, dal canto loro, intrecciano trame acide e lisergiche, affondando le mani nelle sabbie mobili del noise-rock e della psichedelia più sintetica, generando paesaggi sonori che sembrano provenire da una dimensione parallela, in bilico tra sogno febbrile e apocalisse post-umana.
Il risultato di questa collaborazione, originariamente pubblicata nel 2008, trascende i limiti del tempo e dello spazio: un’opera che, ancora oggi, pulsa di un’energia aliena e primordiale, un viaggio iniziatico che non ha ancora trovato la sua fine. Tra riff massicci come meteoriti e intemperanze metalliche che fendono l’etere, tra pieghe spazio-temporali che deformano la percezione ed orizzonti elettronici che si dischiudono come galassie sconosciute, la III parte delle loro sessioni di registrazione assume la consistenza di una pulsar, un corpo celeste che, imperterrito e instancabile, continua a irradiare onde sonore e vibrazioni magnetiche verso i confini più remoti dell’universo.
Vibrazioni che, fortunatamente, arrivano a contaminare anche le nostre vite anestetizzate, inquinate dal rumore bianco della quotidianità e dalla passività di esistenze schiacciate sotto il peso di stagioni prefabbricate e di prospettive digitali schermate. Ed è proprio in questo contesto di assuefazione tecnologica e di grigiore esistenziale che questo disco riaffiora come un abbagliante faro cosmico, capace di riconnetterci a dimensioni primeve, ad energie dimenticate, a ritmiche oniriche, ad esplosioni tribali, a chitarre neutroniche e a bassi alchemici che sembrano provenire da un altro piano dell’essere.
Abbiamo vissuto troppo a lungo nella cieca convinzione che soltanto gli schermi dei nostri smartphone, tablet o pc potessero offrire colore e senso al nostro incedere alienato. È tempo, adesso, di scrutare il cielo fluorescente che sovrasta le nostre città e le nostre case, è tempo di tornare a percorrere le vie interstellari tracciate dalla musica, è tempo di lasciarci guidare verso una nuova Itaca cosmica, laddove anche i ciechi possano, finalmente, “vedere”, non con gli occhi, ma con il corpo, con la mente, con il cuore e con le vibrazioni leggere della propria anima.
Questa ristampa, quindi, non è solamente una piacevole ed interessante operazione discografica, ma è un atto poetico, evocativo e visionario, che restituisce al presente un frammento di quel futuro ipotetico in cui la musica è ancora in grado di evocare mondi, di risvegliare coscienze sopite e di liberare l’immaginazione da ogni vincolo e ogni forzatura.
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